SIRIA. Il rilancio del Processo di Astana

88

Tra il 24 e il 25 gennaio si è tenuto il 21° incontro del Processo di Astana nella capitale kazaka, con la presenza dei tre paesi che hanno lanciato tale formato negoziale tra il 2016 e il 2017, Russia, Turchia ed Iran, e a cui, inevitabilmente, hanno partecipato le delegazioni del governo siriano e dell’opposizione siriana, oltre a rappresentanze delle Nazioni Unite dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, del Comitato internazionale della Croce Rossa e di paesi quali Iraq, Libano e Giordania. 

Nonostante a termine del 20° incontro il Kazakhistan avesse in un primo momento dichiarato concluso il ciclo negoziale esplicatosi con il Processo di Astana, la realtà dei fatti ha spinto a non abbandonare questo formato e a proporre un nuovo incontro. Sebbene il Processo di Astana sia stato in qualche modo alternativo a quello di Ginevra sotto il cappello delle Nazioni Unite, il recente incontro ha messo in luce, in realtà, la necessità che il Comitato costituzionale siriano, nato proprio dagli sforzi delle Nazioni Unite, riprenda i suoi lavori. La rilevanza che è stata data al Comitato costituzionale, in cui sono presenti esponenti del governo siriano, dell’opposizione siriana in senso lato, e di esponenti nominati dalle Nazioni Unite, ridà vigore alla ricerca di una risoluzione del conflitto siriano sul piano del dialogo.

La realtà siriana è ben lungi dal raggiungimento di una soluzione definitiva, pacifica e politica al conflitto. È stato ben visto come, nel recente periodo, gli accordi bilaterali, finanche sottobanco, e le scelte unilaterali siano state preferite ai colloqui generali, che interessino tanto le diverse amministrazioni della Siria quanto gli attori esterni che si sono legati all’arena siriana. I riflessi delle tensioni a Gaza, i continui scontri tra HTS e governo siriano, le tensioni tra curdi e arabi nell’AANES, la ripresa di Daesh, gli attacchi di ritorsione turchi nelle zone dell’AANES, il botta e risposta tra forze filo-iraniane e Stati Uniti hanno evidentemente messo in luce che anche il teatro siriano potrebbe essere suscettibile di uno scivolamento verso un’ulteriore destabilizzazione.

Le rappresentanze russe, iraniane e turche hanno concordato su alcuni punti fondamentali a termine del 21° incontro. Tra i primi punti, oltre a ribadire il ruolo del Processo di Astana per porre fine alla crisi siriana, risalta, indubbiamente, la preoccupazione per gli effetti negativi della conflittualità “israelo-palestinese” sulla Siria. E ciò ha portato con sé la riaffermazione della sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale della Repubblica araba siriana. Nonostante la scomoda presenza statunitense in Siria, secondo il format Astana anche gli attacchi israeliani contro obiettivi, soprattutto filo-iraniani e dei Guardiani della Rivoluzione, nei territori sotto controllo governativo, rendono chiaro un certo fastidio per Russia, Turchia e Iran. L’Iran, in particolare, ha subito attacchi israeliani diretti contro siti importanti per le forze dei Guardiani della Rivoluzione e per le milizie filo-iraniane, oltre alla morte di figure di spicco dei Guardiani della Rivoluzione nel recente periodo. Ciò, non a caso, ha anche fatto pensare ad un’intrusione nell’intelligence del governo siriano, che avrebbe permesso ad Israele di centrare appieno leader e raduni dei Guardiani della Rivoluzione e di Hezbollah. Molte speculazioni sono state fatte anche sull’ex capo dell’intelligence governativa, Ali Mamlouk, di cui, in questi giorni, si insinua la morte.

Altro punto irrinunciabile, sula scia del 20° incontro, è la distensione delle relazioni tra governo siriano e Turchia, che in effetti, nell’ultimo periodo aveva subito un certo stallo. In particolare, ciò rileva sia per la presenza dei ribelli filo-turchi nel nord-ovest della Siria, ma anche per la questione dei numerosi rifugiati siriani in Turchia, per i quali, inevitabilmente, si auspica il rimpatrio volontario. Non solo, anche la questione del contrasto al terrorismo dovrà rientrare nelle relazioni tra i due paesi. Certo è che la Turchia promuove una visione di terrorismo, inglobante anche i curdi di alcune formazioni presenti nell’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES), la cui ala militare, le Syrian Democratic Forces (SDF), conserva un ruolo di spicco dei curdi, sebbene si tratti di una coalizione che ingloba anche arabi e siriaci-assiri. La Turchia lega infatti l’Unità di protezione popolare(YPG), parte integrante delle SDF, al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), già nelle liste dei gruppi terroristici per la Turchia (e non solo). Ciò, quindi, anche alla luce delle esistenti zone di schieramento militari congiunto del governo siriano e delle SDF nel nord della Siria, in funzione di resistenza ai ribelli sostenuti dalla Turchia, potrebbe portare alla creazione di una situazione sfavorevole proprio per le formazioni curde. Il ruolo della Russia sarà quindi fondamentale. In aggiunta, ancora nella Dichiarazione finale di Astana si è condannata qualunque agenda separatista in Siria. Ciò non fa che affiorare alla memoria la recente approvazione di una sorta di Carta fondamentale dell’AANES, che è stata da più parti ritenuta figlia di un progetto secessionista in corso di attuazione da parte dei curdi e affiliati.

Il contrasto al terrorismo in tutte le sue forme rientra tra i punti della Dichiarazione. Sicuramente l’accezione del termine, come prima detto, è frutto anche di culture, sedimentazioni e percezioni diverse. Sicuramente, però, la presenza di Daesh è allarmante sia per il governo siriano che per l’Iran e anche per la Russia. In questi giorni, infatti, il deserto siriano, sotto controllo governativo e con ampia presenza di forze filo-iraniane, sta assistendo a forti scontri tra cellule di Daesh, da un lato, e forze governative, filo-governative e legate all’Iran, dall’altra. Questa situazione non riguarda solo agguati delle cellule jihadiste, ma piuttosto una vera e propria lotta per il controllo del territorio. 

La zona di de-escalation di Idlib è sicuramente un altro dei punti fondamentali della Dichiarazione. Il mantenimento della calma in questa area è stato ritenuto necessario dalle parti. L’azioni di diversi gruppi nell’area di Idlib, tra cui Hayat Tahrir al Sham (HTS), che controlla un’estesa area del governatorato di Idlib, ha certamente un ruolo centrale. Proprio in relazione a questa zona di HTS si è vociferato, nell’ultimo periodo, di una nuova spartizione d’influenza dei paesi terzi. Sebbene sia sempre stata ritenuta illegale la presenza statunitense in Siria, con denunce anche riguardo l’appropriazione da parte statunitense di importanti risorse, in primis petrolifere, dal territorio siriano, nei fatti, però, anche gli altri paesi tengono un piede ben saldo in alcune aree della Siria secondo un equilibrio di influenza e sembra che oggi l’oggetto di scambio possa essere proprio Idlib. Facendo un breve riassunto, la Turchia mantiene un evidente potere su tutte le zone sotto il controllo dei ribelli filo-turchi. La Russia, invece, più discretamente mantiene importante ascendente sul governo siriano e sui territori di questo, e ha mano libera su punti strategici al livello geopolitico, tra i quali, ad esempio, il porto di Tartus. Alcune recenti indiscrezioni riferivano che Turchia e Russia siano in trattativa per ridisegnare alcune realtà: mentre la Turchia vorrebbe avere ancora più libertà su alcune zone per il suo contrasto ai curdi, rendere più leggero il flusso migratorio e ridisegnare la realtà di Aleppo con il reinsediamento dei profughi, la Russia vorrebbe assumere un’influenza sulla zona di Idlib, restituendola al controllo governativo. A Idlib, allora, soprattutto il ruolo di HTS, sotto la guida di al Jawlani, che sta avviando una campagna di epurazioni interna, potrebbe essere rivisto e aprire la strada ad una nuova realtà.

Anche la questione umanitaria è stata incorporata nella Dichiarazione, sollecitando l’assistenza degli organismi internazionali, anche alla luce di una ricostruzione della realtà siriana per rendere possibile il reinsediamento dei profughi siriani. Il flusso di aiuti umanitari, comunque, rimane in balia delle scelte del governo siriano, dopo il veto russo in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per l’estensione del flusso di aiuti umanitari. Recentemente il governo ha permesso nuovamente per altri sei mesi l’utilizzo del valico di Bab al Hawa alle agenzie delle Nazioni Unite.

Sebbene Turchia, Russia e Iran abbiano diverse visioni in merito allo scenario siriano, la concordanza su alcuni punti fondamentali sanciti nella Dichiarazione finale del 21° incontro del Processo di Astana mettono luce sulla ricerca di un nuovo avanzamento del fascicolo siriano. Tuttavia, è facile credere che saranno gli interessi dei singoli a far da guida per le decisioni future. Accordi di principio non pongono soluzioni ad una conflittualità che esplosa dal 2011 arranca a trovare una conclusione. Il contesto, gli interessi e le decisioni prese fuori dai riflettori cambiano, invece, il corso degli eventi. Ciò che sicuramente è emerso è la presa di una posizione anti-statunitense e la condanna delle azioni di Israele, ma cosa significa davvero la Siria per i tre paesi non può essere solo un nemico comune.

Marta Felici

Segui i nostri aggiornamenti su Spigolature geopolitiche: https://t.me/agc_NW e sul nostro blog Le Spigolature di AGCNEWS: https://spigolatureagcnews.blogspot.com/