SALUTE. Ricerca del San Raffaele svela il meccanismo di Ebola

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Qual è il meccanismo che sta alla base dei sintomi più pericolosi – e spaventosi – scatenati dai virus delle febbri emorragiche?

A svelarne le caratteristiche è una ricerca condotta in tandem da Università e Ospedale San Raffaele in collaborazione con lo Scripps Research Institute di La Jolla negli USA.

Lo studio, pubblicato su Scienze Signaling, raccoglie i dati e le informazioni derivati dall’indagine portata a termine nei laboratori ad alta bio-sicurezza. Strutture la cui condizione essenziale è poter “maneggiare” gli agenti patogeni delle febbri senza far correre rischi agli operatori e alla collettività.

L’intero percorso è stato coordinato da Luca Guidotti, vice direttore scientifico di IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario dell’Università Vita-Salute San Raffaele, assieme a Zaverio Ruggeri, docente del prestigioso Scripps Research Institute in cui lo stesso Guidotti ha svolto buona parte della propria carriera medico-scientifica.

I virus delle febbri emorragiche – vedi il terribile Ebola, 10 mila morti in Africa tra il 2014 e il 2016, oppure i meno conosciuti Machupo e Junin – sono molto spesso protagonisti delle cronache mondiali e non di rado di film o sceneggiature in cui viene enfatizzato uno degli aspetti più impressionanti e macabri: la repentina perdita di sangue dai tessuti e dalle mucose.

“All’infezione molto intensa e in tempi rapidi – di tipo sistemico e pertanto non circoscritta a una sola parte dell’organismo – il corpo umano risponde attivando il sistema immunitario da cui parte una potente reazione infiammatoria. In chi rimane contagiato – spiega Giovanni Sitia, responsabile dell’Unità di ricerca di Epatologia Sperimentale e autore senior della pubblicazione su Science Signaling – si evidenziano livelli altissimi di Interferone I, molecola infiammatoria fondamentale nella risposta al virus ma che in questa tipologia d’infezione – ecco il nocciolo della scoperta – sta proprio all’origine delle emorragie”.

«Quello che abbiamo messo in luce – commenta il professor Guidotti – è che l’impennata d’interferone messa in moto dal virus nel midollo, finisce con l’ostacolare la produzione di piastrine. Il loro numero precipita in maniera fulminea e identica sorte subisce la funzionalità delle stesse: ovvero si riduce. Venendo meno alla loro specificità non rilasciano più le sostanze – vedi la serotonina – in grado di mantenere intatti/integri i vasi sanguigni. Ne consegue come i suddetti vasi, in netta prevalenza i capillari – il 98% del totale – deputati a irrorare tutti i tessuti diventino permeabili: le cellule del sangue vi passano attraverso e causano l’emorragia».

La scoperta apre ora nuovi scenari d’utilizzo pure in campo oncologico. Oltre a dare il la a innovativi approcci in ambito terapeutico per le patologie menzionate, potrebbe, infatti, divenire utile nel contrastare gli effetti collaterali della chemioterapia tra cui, appunto, sanguinamenti ed emorragie molto simili. Effetti dovuti all’impatto dei farmaci sulla funzionalità del midollo e, a ruota, sulla riduzione delle piastrine nei pazienti sottoposti ai vari trattamenti.

I virus delle febbri emorragiche – virus a RNA appartenenti a diverse famiglie – possono sopravvivere nei cosiddetti serbatoi naturali, specie animali o insetti in cui risultano endemici. La loro collocazione geografica riguarda in particolar modo le zone tropicali o subtropicali del nostro pianeta.

Marco Valeriani