#ISRAELEHAMASWAR. La guerra passa dal fronte ai mercati

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Il sito web ufficiale della Guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei ha pubblicato statistiche dettagliate sui collegamenti musulmani tra i paesi e Israele. Il tutto con il preciso intento di boicottare i prodotti di Israele e mettere in cattiva luce quei paesi arabi che non sostengono apertamente la causa palestinese, Hamas e le brigate a essa affiliate

I paesi più attivi che collaborano con Israele sono la Turchia (metalli, materiali da costruzione, elettricità ed energia, esportazioni totali – 5,7 miliardi di dollari) e gli Emirati Arabi Uniti (sicurezza informatica, agrotecnologia, fintech, edilizia, nonché investimenti in aerospaziale, energia, medicina e vari settori; il fatturato commerciale ammontava a 2,5 miliardi di dollari).

Inoltre c’è la cooperazione di Israele con Egitto, Giordania, Bahrein, Kazakistan e Azerbaijan. Gli ultimi due paesi soddisfano oltre il 60% del fabbisogno petrolifero di Israele.

A differenza delle aspettative dell’Iran, di vedere crollare i mercato israeliano, lo Shekel si rafforza dopo che la Banca d’Israele ha lasciato invariato il tasso al 4,75%. Nelle transazioni interbancarie giornaliere, il tasso shekel/dollaro è sceso dello 0,62% a 3,703 shekel/dollaro, e il tasso shekel/euro è diminuito dello 0,59% a 4,056 shekel/euro.

Uno dei fattori di rafforzamento, oltre al cessate il fuoco al confine meridionale, è il deprezzamento del dollaro USA in tutto il mondo. Il dollaro si sta indebolendo rispetto ad alcune delle principali valute globali, come evidenziato dai recenti dati pubblicati negli Stati Uniti, come l’indice dei direttori degli acquisti (PMI) e gli acquisti di case private, che indicano un rallentamento dell’economia statunitense.

Una previsione aggiornata del dipartimento di ricerca della banca centrale di Israele al 29 novembre stima che “l’impatto lordo” del conflitto su Israele sia pari a 53 miliardi di dollari, con la spesa per la difesa che rappresenta oltre la metà del totale. Leader Capital Markets aveva precedentemente stimato il prezzo fiscale della guerra in 180 miliardi di shekel nel 2023-24, e il Dipartimento del Tesoro ha affermato che costa all’economia quasi 270 milioni di dollari ogni giorno.

Anche il gruppo di ricerca interno della Banca d’Israele ha abbassato le previsioni di crescita economica e ora prevede che il prodotto interno lordo cresca del 2% quest’anno e il prossimo, in calo rispetto alle stime precedenti del 2,3% nel 2023 e del 2,8% nel 2024. Il Dipartimento del Tesoro ha mantenuto le stesse previsioni sul PIL per quest’anno, ma prevede una crescita leggermente più debole.

L’OCSE ha abbassato la previsione del PIL di Israele al 2,3% nel 2023 anno dal 2,9% previsto a giugno, e all’1,5% nel 2024 contro il 3,3% precedente. Ciò arriva dopo che lunedì la Banca d’Israele ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita e ora prevede che l’economia cresca del 2% rispettivamente nel 2023 e nel 2024.

Supponendo che la guerra si concentrerà in gran parte sul fronte meridionale, senza ulteriore escalation regionale, l’OCSE ha stimato che il principale impatto economico sarà limitato all’ultimo trimestre del 2023 e, in misura minore, al primo trimestre del 2024.

Pertanto, l’organizzazione prevede una ripresa dell’economia israeliana nel 2025 e una crescita del 4,5%.

Antonio Albanese e Graziella Giangiulio

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