Il blu è un elemento fisso della cultura egiziana e lo è stato per secoli; ma il blu non era un colore naturale; il cielo era intoccabile, e non c’era niente da polverizzare per diluirlo nella pittura. I pigmenti a quel tempo erano ricavati dal suolo. Per gli antichi egizi, il blu era associato al cielo, al Nilo, e quindi la sua importanza si espanse fino ad includere rappresentazioni dell’universo, della fertilità e della creazione.
Come riporta Egyptian Streets, Nun, o le acque primordiali del caos, incarnavano questi concetti di rinascita e creazione – e non sorprende che anche queste acque fossero ritenute blu. Di conseguenza, simboli duraturi come quello del Nilo e del dio creatore Amon avevano bisogno di questo colore.
L’antico Egitto creò il primo pigmento blu: una vernice sintetica, molto ricercata, derivata da calcare macinato, sabbia e minerali di rame (come l’azzurro o la malachite). Riscaldato ad alta temperature, il vetro risultante sarebbe stato polverizzato e mescolato con agenti addensanti come il bianco d’uovo per produrre una pittura opaca, uno smalto blu, noto come il blu egiziano.
Il blu egiziano fu la prima introduzione del mondo antico allo sviluppo delle vernici sintetiche, e rimase essenziale nel corso dei secoli. Questa tinta era tenuta in grande considerazione; veniva usata per le tombe dei faraoni, le statue degli dei e l’arte ceramica che raffigurava il divino.
L’Egitto di oggi non è diverso: l’amore per il blu è sempre vivo anche se ha assunto interpretazioni più “abramitiche”: il blu è legato alla spiritualità, alla divinità e alla protezione. L’esempio più diffuso è quello dell’amuleto nazaar, o il ciondolo del malocchio. Come nella maggior parte delle culture orientali, il blu è arrivato ad incarnare l’assoluto e l’infinito, così come la tranquillità trascendentale.
La sua associazione con la divinità, però, non vive e muore con il nazaar. Piuttosto, un altro simbolo comune visto in Egitto è quello della Mano di Fatima: un altro pendente spesso raffigurato in blu. Si dice che Fatima sia stata la figlia del profeta Maometto, il suo palmo aperto è un’incarnazione di “equilibrio interiore, fede e pazienza”. Ognuna delle sue cinque dita rappresenta i pilastri dell’Islam: preghiera, fede, pellegrinaggio alla Mecca, elemosina e digiuno del Ramadan.
Anche se il blu non è presente esclusivamente nell’Islam; infatti, la maggior parte delle sue radici abramitiche sono fondate nel cristianesimo. Molte chiese egiziane mantengono il suo uso nell’arte per sottolineare l’infinità del cielo e il mondo eterno. Il più famoso, il colore più associato alla Vergine Maria è il blu scuro; una donna che, in se stessa, combina sia il terrestre che il celeste.
Maddalena Ingrao