MEDIO ORIENTE. Gli USA hanno ancora un ruolo dopo gli accordi mediati dalla Cina 

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L’accordo mediato dalla Cina tra l’Arabia Saudita e l’Iran per ripristinare le relazioni diplomatiche è stata la cartina di tornasole per avere la certezza della diminuita presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente.

Ma Washington ha ancora assi nelle manica.

Il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Faisal bin Farhan, e l’omologo iraniano Hossein Amir-Abdollahian hanno iniziato il Ramadan con una conversazione telefonica a seguito del loro recente accordo, riporta Nikkei.

Il riavvicinamento, annunciato questo mese, è il più grande colpo diplomatico di Pechino nella sua competizione con gli Stati Uniti per l’influenza globale. Riflette la visione dell’Arabia Saudita e dell’Iran, che “dà la priorità alle soluzioni politiche e al dialogo”, aveva twittato Faisal.

Gli Stati Uniti, che erano stati tenuti fuori dal giro, sono rimasti sbalorditi dall’improvviso disgelo della rivalità decennale tra Riyadh e Teheran, che si è riversata in “conflitti per procura” in tutta la regione.

Gli Stati Uniti considerano l’Arabia Saudita un partner cruciale in Medio Oriente e l’amministrazione del presidente Joe Biden è stata probabilmente frustrata dal fatto che Riyadh si avvicinasse a Pechino; a sentire i sauditi, però, è stata Washington a spezzare per prima i legami bilaterali.

Nel 2003, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq nonostante la forte opposizione nella regione, per poi ritirarsi, molto tempo dopo, senza risolvere il caos provocato dall’invasione.

Durante le proteste della Primavera araba negli anni 2010, Washington ha rapidamente permesso la caduta del presidente egiziano Hosni Mubarak mentre il presidente Barack Obama ha scelto di non intervenire nella guerra civile siriana, affermando che gli Stati Uniti “non sono il poliziotto del mondo”.

Il momento decisivo è arrivato quando le strutture petrolifere saudite sono state danneggiate nel 2019 da un sospetto attacco iraniano. Nonostante l’interruzione delle forniture di petrolio, gli Stati Uniti non hanno fatto nulla in risposta.

L’alleanza tra Stati Uniti e Arabia Saudita risale al 1945, ma i recenti eventi hanno suscitato preoccupazione nella famiglia reale saudita sul fatto che Washington aderisca ancora all’accordo.

Riyadh ha visto gli appelli degli Stati Uniti alla democratizzazione del Regno come un gesto di politica interna. Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman credeva di essere accolto negli Stati Uniti come un giovane leader riformista ed è rimasto scioccato dalla condanna bipartisan che ha ricevuto per l’uccisione di Jamal Khashoggi nel 2018.

La decisione dell’Arabia Saudita di abbracciare l’accordo mediato dalla Cina è “un’ovvia strategia di copertura”, riporta il Washington Post. I sauditi desiderano riparare i contatti con gli Stati Uniti, ma vogliono un’assicurazione nel caso in cui ciò non accada, prosegue il giornale Usa.

L’Iran da canto suo, potrebbe sperare anche di riportare Biden al tavolo dei negoziati per rilanciare l’accordo sul nucleare del 2015 e per eliminare le sanzioni contro le industrie petrolifere e finanziarie di Teheran.

Nel frattempo, la Cina si è avvicinata ai principali produttori di petrolio. Pechino ha fatto passi da gigante nella coltivazione del petroyuan, utilizzato nel commercio del petrolio. Vede opportunità nei giacimenti minerari iraniani, che rimangono sottosviluppati a causa delle sanzioni.

L’Iran ha dichiarato di aver scoperto depositi di litio nel nord-ovest del paese stimati in un totale di 8,5 milioni di tonnellate. Il litio è un componente fondamentale nelle batterie per smartphone e auto elettriche. La Cina è probabilmente concentrata su simili risorse mediorientali con un occhio a un mondo post-petrolio.

A differenza degli Stati Uniti, dove ogni presidente entrante significa un cambiamento nella politica mediorientale, la Cina sembra mantenere un approccio coerente e strategico alla regione.

Lo scenario peggiore dell’Occidente implica dover competere con la Cina per placare il Medio Oriente, anche abbracciando il regime autoritario dell’Iran o chiudendo un occhio sulle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita.

Antonio Albanese

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