ITALIA – Milano 10/7/13. Il rapporto con cui Standard & Poors’ ha tagliato ieri il rating del debito italiano portandolo a BBB preannuncia l’entrata ormai prossima del nostro debito sovrano nell’area dei titoli spazzatura. Le motivazioni addotte si basano su una grande varietà di affermazioni qualunquiste, contraddittorie e strumentali.
Il rapporto esalta le debolezze della situazione italiana confrontando i dati odierni con quelli del 2007, anno precedente all’implosione della bolla immobiliare, ragionamento questo che potrebbe essere fatto per qualsiasi Paese. Questo viene fatto ad esempio citando la produzione (-8%) ed il PIL pro-capite, ritenuto oggi al di sotto del 2007. Nel report si insiste sulla debolezza della crescita del PIL ma si esprimono anche timori sulla sospensione della rata dell’IMU e sul rinvio dell’incremento dell’IVA. La contraddizione dei termini è evidente a tutti.
Vi è poi un ragionamento piuttosto “minaccioso” relativo alla rigidità del mercato del lavoro. Il report ammonisce sul fatto che il costo nominale orario del lavoro è cresciuto in Italia più che in altri Paesi dell’EU o dell’Eurozona e questo è addotto come fattore responsabile della perdita di competitività del Paese a livello internazionale. Si tratta a ben vedere di un dato pretestuoso dal momento che la fonte citata, Eurostat, non rimarca affatto tale differenziale, e cosa più importante vi è un macroscopico silenzio di fronte al ruolo che la forza relativa dell’Euro ha svolto negli ultimi 5 anni nel deprimere le esportazioni italiane verso i Paesi del nord-Europa.
Ma l’aspetto forse più esilarante del report dell’agenzia di rating è relativo al commento sugli alti tassi reali di interessi pagati dalle aziende italiane. Il report attribuisce questo fenomeno ad un malfunzionamento del sistema creditizio bancario, cioè in qualche modo al fatto che le banche non concedono credito o lo fanno caricando spread troppo elevati per il rischio. Nulla viene detto a proposito delle cause di questi “spread” che in realtà dipendono proprio dai downgrade operati dalle agenzie di rating a partire dal Settembre 2011!
Naturalmente il report continua citando la stima di un rapporto debito/PIL del 129% che è ritenuto tra i più alti di tutti i Paesi sovrani sottoposti a rating, senza citare, ad esempio, il fatto che il Giappone supera il 200% pur avendo un ottimo rating e senza menzionare che il debito netto privato (famiglie e imprese) italiano è invece tra i più bassi di tutti i Paesi sottoposti a rating.
Del resto, il tono ed i contenuti di questo ultimo downgrade non sono dissimili dai due downgrade di Settembre 2011 e Gennaio 2012 nei quali un mix di informazioni non-veritiere, contraddittorie e strumentali furono utilizzate per giustificare l’abbassamento di tre gradini complessivi di rating, tanto da portare due Procure italiane ad occuparsi del caso ed una di esse a chiedere il rinvio a giudizio delle agenzie di rating.
Allo stato attuale il debito italiano è equiparato alla Bulgaria, alle Bahamas, a Panama, alla Colombia, alle Filippine. È considerato peggiore del Kazakistan (le cui tre principali banche fallirono nel 2009) e del Botswana però è un gradino sopra al Senegal e Marocco!
In sintesi, il report appare costruito in una maniera tale che qualsiasi azione sarà intrapresa da qualsivoglia Governo, l’agenzia di rating potrà tornare a breve, e lo farà con matematica certezza, con un nuovo downgrade. Il gioco è ormai chiaro, portare i bond italiani sotto il livello spazzatura e togliere ai BTP la prerogativa di poter essere utilizzati come collaterali sul mercato interbancario, il che innescherebbe una spirale di interessi molto forte dato che banche ed operatori finanziari sarebbero costretti a vendere BTP e comprare titoli “migliori” da offrire come collaterale nelle transazioni sul mercato interbancario. In questo modo i rendimenti effettivi sui BTP potrebbero facilmente raggiungere la soglia di 8-10%.