#UKRAINERUSSIAWAR. Destabilizzazione politica e crisi alimentare nel MENA

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La guerra in Ucraina ha infiammato il Medio Oriente. In Iran, ad esempio, il governo ha annunciato che avrebbe tagliato i sussidi per il grano in seguito all’aumento dei prezzi innescato dall’invasione della Russia in Ucraina. L’annuncio ha scatenato un’ondata di proteste che da economica si è trasformata in politica, con le richieste di rovesciare il regime.

Nel 2020, la Russia e l’Ucraina hanno fornito il 43% del grano importato dal Medio Oriente e dal Nord Africa, Mena, rispetto al 19% del 2008. La regione dipende anche fortemente dal mais russo e ucraino. Lo shock bellico non è nuovo: le turbolenze sui mercati dei cereali fanno salire la temperatura politica nel Mena. Tra il 2008 e il 2012, i prezzi del grano hanno subito tre diverse impennate, contribuendo alla Primavera araba, poi è degenerata in guerre civili e asimmetriche in Siria, Libia e Yemen.

Ci sono diversi modi in cui la guerra ucraina ha destabilizzato i mercati del grano e del mais, di cui Russia e Ucraina sono i principali esportatori. In primo luogo, la guerra stessa rende difficile o impossibile per l’Ucraina la coltivazione e il raccolto. In secondo luogo, il blocco dei porti sul Mar Nero ha interrotto la principale via di esportazione. In terzo luogo, le sanzioni contro il petrolio e il gas russo stanno colpendo l’approvvigionamento e l’aumento dei costi di fertilizzanti e carburante. Anche il prezzo delle sementi è in aumento. In quarto luogo, sebbene non vi siano sanzioni sul grano russo, le sanzioni finanziarie rendono più difficile fare affari con la Russia. Anche il trasporto è diventato più difficile da gestire.

I prezzi del grano e del mais nel 2021 e 2022 sono balzati ai massimi livelli dal 2008. Se la guerra continuasse a lungo, lo shock dell’offerta alla fine del 2022 e all’inizio del 2023 potrebbe essere ancora più significativo. Dopo i picchi associati alla Primavera araba, i prezzi hanno avuto una tendenza al ribasso fino al 2020. La pandemia ha poi dato il via a politiche monetarie allentate e a problemi della catena di approvvigionamento che hanno esercitato una pressione al rialzo sui prezzi in tutto il mercato del prodotto. Infine, la guerra in Ucraina ha incendiato un mercato del grano e del mais già di per sé bollente. Il Mena soffre di stress idrico e dispone solo del 2% delle risorse idriche rinnovabili del mondo, il che la rende molto sensibili alle ondate di siccità; per questo i Paesi Mena dipendono dalle importazioni di cereali e sono molto sensibili agli shock dei prezzi. Egitto, Algeria e Marocco erano tra i primi quindici importatori di grano nel 2020. Egitto, Algeria e Iran sono tra i primi quindici importatori di mais nel 2020, riporta The National Interest.

Le esportazioni russe e ucraine hanno una quota maggiore dei mercati dell’area Mena. Nel complesso, la Russia è stata il primo esportatore di grano a livello globale nel 2020, mentre l’Ucraina si è classificata al quinto posto. Negli ultimi anni, un quarto delle esportazioni globali di grano proviene da Russia e Ucraina, una quota in forte aumento rispetto al 2008, quando rappresentavano solo il 10% delle esportazioni. I Paesi dell’area Mena importano il 45% del loro grano da Russia e Ucraina, rispetto al 19% del 2008. La Russia detiene una quota di mercato maggiore, con il 27% contro il 16% circa dell’Ucraina. Tra il 2018 e il 2020, Russia e Ucraina hanno esportato in media 6,5 miliardi di dollari all’anno di mais nella regione MENA, pari al 23% delle importazioni totali della regione: l’Ucraina fornisce circa il 19%, la Russia solo il 4%.

La maggior parte dell’area Mena ha rapporti amichevoli con la Russia, quindi Mosca non ha motivo di usare le esportazioni di grano come arma. Tuttavia, i Paesi più poveri della regione potrebbero ancora avere difficoltà a permettersi il grano russo, anche se la Siria avrebbe ricevuto 100.000 tonnellate di grano dall’Ucraina occupata.

Se l’invasione russa dell’Ucraina continuasse, gli importatori di grano dovranno probabilmente affrontare uno shock di approvvigionamento ancora maggiore nella prima metà del 2023.

Antonio Albanese