INTELLIGENCE. La disinformazione alla guida delle guerre contemporanee

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La guerra russo-ucraina ha presentato, oltre a uno scontro a fuoco con morti e feriti veri, una vecchia arma con un volto nuovo: la disinformazione attraverso le piattaforme social e i media digitali.

Non solo e tanto sui fronti russo-ucraini (esistono chat e forum per perorare la causa degli uni contro gli altri), ma volta a colpire, di volta in volta, anche i diversi paesi che sono alleati o nemici della Federazione Russa, dell’Ucraina, degli Stati Uniti, dell’Europa, della NATO, e così via. Non solo: quando le notizie sono diramate dalle cosiddette fonti accreditate nessuno osa smentirle anche se, obiettivamente, sono notizie difficili da verificare e quindi non classificabili come tali.

Andando indietro nel tempo ci fu la grande bufala sulla morte del generale Khalifa Haftar, 13 aprile 2018, diventata notizia dopo che l’ha postata anche Anadolu Agency, agenzia stampa turca pubblicata però con riferimento a presunti bollettini medici e senza una foto che testimoniasse l’accaduto. Khalifa Haftar era vivo e vegeto ed era in Francia per controlli medici ed è vivo tutt’oggi.

Più recentemente a marzo 2022, il 14 per la precisione, abbiamo assistito a una prima pagina della Stampa in cui si parlava di un attacco russo in Ucraina, notizia vera, ma con una foto di un attacco ucraino nel Donbass, foto del fotografo Eduard Kornienko di URA.RU.

Cose così succedono ogni giorno, in tutto il mondo. Il primo novembre per esempio la bufala del giorno è stato l’annuncio di un imminente attacco iraniano in Arabia Saudita previsto entro le 48 ore.

Nei post della social sfera afferente alla Russia e all’Ucraina si leggeva: «Riyadh ha condiviso informazioni con Washington su un imminente attacco iraniano contro obiettivi in ​​Arabia Saudita. Sulla base di queste informazioni, è stato aumentato il livello di prontezza al combattimento delle forze armate statunitensi e di altre forze in Medio Oriente».

La stessa notizia leggermente modificata veniva ribattuta alle 21:36 sempre del 1 novembre: «Le forze di difesa aerea statunitensi e saudite in Medio Oriente sono state messe in allerta in previsione degli attacchi di droni iraniani».

On-line è stato postato anche un rendering di come gli Shahed -136 avrebbero potuto compiere un attacco contro le infrastrutture saudite Aramco. Il ministero per gli Esteri iraniano si è sentito chiamato in causa e ha smentito l’imminente attacco. Il 4 novembre ovvero 4 giorni dopo non si era registrato nessun attacco iraniano alle strutture saudite.

Ricordiamo che l’Iran ha il dito puntato contro da tutto il mondo per la possibile fornitura di droni Shahed -136 alla Russia. Sempre il 1 novembre, Washington si è detta fiduciosa che l’Iran abbia fornito alla Russia i suoi droni e Mosca probabilmente ne vuole di più. Fornitura ammessa parzialmente il 5 novembre. Allo stesso tempo, l’intelligence americana non dispone di informazioni specifiche sul fatto che Teheran abbia fornito alla Russia missili balistici. Insomma la notizia al momento non è verificabile, anche se Israele ha portato resti di droni iraniani presi in Arabia Saudita e Ucraina mostrando che sono identici.

Il fatto è che Iran e Russia costruiscono gli stessi droni con nomi diversi almeno dal 2011. Come scritto in altro articolo.

In Iran inoltre da diverse settimane si registra una serie di manifestazioni contro il regime, iniziate con le proteste per chiedere giustizia per l’uccisione di Mahsa Amini da parte delle forze dell’ordine che hanno già portato secondo fonti iraniane che vivono all’estero a oltre 300 morti in tutta la regione. Rivolte in cui stanno arrivando le armi. All’interno dei gruppi dei rivoltosi così come accadde in Siria nel 2011 o in Iraq nel 2019.

In paesi come la Francia sono stati arruolate molte figure professionali per cercare di dipanare le menzogne on-line. Ma tutti per ora hanno ottenuto risultati parziali. Il fatto è che per capire le notizie false o parzialmente vere oltre agli algoritmi che cercano per gli umani riferimenti geografici, datazione delle foto, bot, etc., ci vogliono storici, laureati in comunicazione, e persone che conoscano il contesto geopolitico e una grande volontà politica che non c’è. Viene quasi da pensare che il mercato della disinformazione abbia un gran valore…

Graziella Giangiulio

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