DEDOLLARIZZAZIONE. I BRICS verso la moneta unica al posto del dollaro

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Da anni, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altre economie emergenti sperano di rompere l’egemonia internazionale del dollaro che complica i calcoli geopolitici. A Città del Capo, i ministri degli Esteri dei Brics hanno fatto prender forma ad un vero movimento per la dedollarizzazione. Prima del meeting, i membri dei Brics hanno sollecitato la loro banca a studiare il funzionamento di una moneta comune, la logistica, le infrastrutture di mercato e il ruolo delle sanzioni contro la Russia.

Altrettanto importante è la raffica di accordi di cambio che escludono il dollaro: Cina e Brasile che si accordano per regolare gli scambi in yuan e real; Francia che inizia a condurre alcune transazioni in yuan; India e Malesia che aumentano l’uso della rupia negli scambi bilaterali; Pechino e Mosca che commerciano in yuan e rubli, riporta AT.

L’Asean sta unendo le forze per incrementare gli scambi e gli investimenti regionali in valute locali e non in dollari. L’Indonesia, la più grande economia Asean, sta lavorando con la Corea del Sud per aumentare le transazioni in rupia e won. Il Pakistan sta cercando di iniziare a pagare la Russia per le importazioni di petrolio in yuan. Gli Emirati Arabi Uniti stanno discutendo con l’India per aumentare il commercio non petrolifero in rupie.

Nel fine settimana, l’Argentina ha annunciato l’intenzione di raddoppiare la linea di swap valutario con la Cina, portandola a circa 10 miliardi di dollari: mossa disperata ista l’inflazione al 109% che ha spinto la banca centrale a limitare i danni. Ma è anche un segno del crescente movimento anti-dollaro in Sud America. Non è più una questione di se, ma di quando accadrà.

L’intervento dei Brics potrebbe cambiare le carte in tavola: rappresentano già il 23% del prodotto interno lordo mondiale e oltre il 42% della popolazione mondiale. Attualmente, almeno altri 19 Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, vogliono unirsi ai BRICS, il che ne accrescerebbe notevolmente l’influenza.

Per il momento, i cinque Paesi Brics stanno mettendo insieme 100 miliardi di dollari di valuta estera per fungere da ammortizzatore finanziario. I fondi possono essere utilizzati in caso di emergenza, consentendo ai membri di evitare di rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale. Dal 2015, la banca Brics ha approvato oltre 30 miliardi di dollari di prestiti per infrastrutture, trasporti e acqua.

La questione della valuta dei Brics ha acquisito maggiore importanza a partire dalla metà del 2022, quando si è tenuto a Pechino il 14° vertice dei Brics. In quell’occasione, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che i Brics stavano preparando una “nuova valuta di riserva globale” e che erano aperti a un uso più ampio. Ad aprile, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha dato il suo appoggio a un’unità monetaria dei Brics.

Il ritorno di Lula alla presidenza, quattro mesi prima, ha dato una spinta alle ambizioni del “Sud globale” che il leader cinese Xi Jinping sta sostenendo. Nel suo terzo mandato, Xi sta ponendo maggiore enfasi sulla trasformazione del Sud globale, ovvero dei Paesi in via di sviluppo nelle regioni che vanno dall’America Latina all’Africa, dall’Asia all’Oceania, in una maggiore forza economica e diplomatica. Il ministro delle Finanze brasiliano Fernando Haddad ha sottolineato l’aumento dell’uso delle valute locali negli strumenti commerciali bilaterali, come le ricevute di credito. L’obiettivo, secondo lui, deve essere quello di eliminare gradualmente l’uso di una terza valuta.

Lula potrebbe ottenere le sue risposte in agosto, quando si terrà il vertice dei capi di Stato Brics a Johannesburg. Il desiderio di una versione Brics dell’euro potrebbe ricevere una spinta dall’adesione di Paesi come Egitto, Indonesia, Turchia e Arabia Saudita. Tra gli altri desiderosi di aderire vi sono Afghanistan, Algeria, Argentina, Bahrain, Bangladesh, Bielorussia, Iran, Kazakistan, Messico, Nicaragua, Nigeria, Pakistan, Senegal, Sudan, Siria, Emirati Arabi Uniti, Thailandia, Tunisia, Uruguay, Venezuela e Zimbabwe.

L’allargamento potrebbe aggravare i problemi dei Brics, stante le diversità economiche dei nuovi membri. Ci vorrà più tempo per scalzare il dollaro. Anche se il dominio del dollaro richiederà del tempo per essere distrutto, la traiettoria per allontanarlo è chiara. In un rapporto della scorsa settimana, Moody’s Investors Service scrive: «Prevediamo che nei prossimi decenni emergerà un sistema valutario più multipolare, ma sarà guidato dal biglietto verde perché i suoi sfidanti faticheranno a replicarne pienamente la portata, la sicurezza e la convertibilità».

Tuttavia, un maggiore orientamento degli Stati Uniti verso il protezionismo, ulteriori rischi di default e l’indebolimento delle istituzioni minacciano l’influenza globale del dollaro, avverte Moody’s: «Il maggior pericolo a breve termine per la posizione del dollaro deriva dal rischio di errori politici che compromettono la fiducia da parte delle stesse autorità statunitensi, come ad esempio un default degli Stati Uniti sul loro debito (…) L’indebolimento delle istituzioni e il passaggio politico al protezionismo minacciano il ruolo globale del dollaro».

Tra i rischi maggiori che gli Stati Uniti stanno correndo c’è quello di perdere l'”esorbitante privilegio” che deriva dallo stampare la valuta di riserva internazionale. Questa frase è stata coniata dal ministro delle Finanze francese degli anni ’60 Valéry Giscard d’Estaing, che ha notato come il ruolo centrale del dollaro abbia permesso agli Stati Uniti di vivere al di sopra delle proprie possibilità finanziarie, anno dopo anno.

Ad aprile, il Presidente francese Emmanuel Macron ha affermato che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dalla “extraterritorialità del dollaro USA”. Questo vale soprattutto per l’intensificarsi delle tensioni sino-americane. Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano, ha detto Macron, «non avremo il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo vassalli».

Antonio Albanese

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