ASIA CENTRALE. Stretta contro l’Islam radicale

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Il Tagikistan in testa, seguito da altri Paesi dell’Asia Centrale, ma anche dal Daghestan nel Caucaso, sta imponendo misure molto restrittive contro la cultura islamica per far fronte alla crescente radicalizzazione a cominciare dal divieto dell’hijab o niqab, i vestiti tradizionalmente usati dalle donne musulmane per coprirsi i capelli o anche il viso, oppure limiti alla celebrazione delle festività religiose. Queste leggi, criticate fortemente dalle comunità islamiche presenti nella regione, si sono rese necessarie dopo il coinvolgimento in stragrande maggioranza di tagiki in diversi attentati fra cui quello al Crocus in Russia. Negli ultimi anni il Tagikistan ha assistito a un afflusso di abbigliamento islamico dal Medio Oriente, che le autorità considerano legato all’estremismo e una minaccia all’identità culturale del paese.

La campagna contro i costumi dell’islam non è nuova in Tagikistan: già nel 2017 il presidente Emomali Rahmon aveva dichiarato che “l’hijab e gli abiti neri usati dalle donne non corrispondono alle tradizioni tagike, e farsi crescere la barba lunga non ha nulla a che fare con la religione”, suggerendo di amare Allah con il cuore e consigliando ai musulmani di “smettere di dimostrare la loro pietà con l’apparenza”. Successivamente Rahmon ha definito l’hijab un “abbigliamento straniero”. Fra maggio e giugno di quest’anno l’uso dell’hijab (“indumenti alieni”) è stato ufficialmente vietato, ed ciò arriva dopo anni di repressione non ufficiale. La Camera Alta del Parlamento ha approvato il disegno di legge che regola l’abbigliamento islamico in particolare vietando l’hijab e ai bambini di celebrare le due festività islamiche, Eid al-Fitr e Eid Al-Adha, dichiarandole cultura straniera. Da notare che il Tagikistan è un paese a maggioranza musulmana ed il divieto si applica nelle scuole, negli uffici e nei luoghi pubblici – non ammettendo così le donne musulmane hijabi negli ospedali e nelle istituzioni amministrative o governative – come parte di una più ampia campagna contro quello che le autorità descrivono come estremismo religioso.

La rimozione dell’hijab a cui le donne sono costrette ovviamente intacca il tessuto sociale del Paese. Il governo ha ribadito che la decisione di proibire l’uso di indumenti islamici considerati estranei è stata presa per “preservare la cultura tradizionale” e “migliorare la situazione economica” della popolazione. Infatti, si promuovono da tempo gli abiti etnici tradizionali tagiki, in particolare quelli dei periodi preislamico e zoroastriano come alternativa ai codici musulmani. Questa legge ha dei risvolti ed è stata un altro passo avanti nel complicare la pratica dell’Islam in Tagikistan. Ciò, da un lato, provoca la migrazione della parte religiosa degli abitanti del Paese, dall’altro, ne aumenta potenzialmente la radicalizzazione. Le multe a cui le persone possono incorrere se contravvengono sono salate, fino a circa 700 dollari. Rischio sanzioni ancora più elevate per le aziende che consentono ai dipendenti di indossare indumenti vietati, ma le più care sono verso i funzionari governativi e i leader religiosi in casi di violazione. Organizzazioni religiose panislamiche e organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno criticato la legge definendolo una violazione della libertà religiosa, e molti gruppi religiosi musulmani accusano il governo tagico di essere un governo di “infedeli” per le sue azioni che limitano la libertà dei musulmani.

Il Tagikistan, però, non è l’unico paese della regione ad introdurre questo genere di normative. La Camera legislativa dell’Assemblea suprema dell’Uzbekistan ha adottato un progetto di legge del governo per vietare ai genitori di cercare un’educazione islamica per i propri figli per evitare che diventino “vittime di idee di estremismo religioso, separatismo e fanatismo”. I genitori o i tutori che registrano i bambini nell’istruzione religiosa illegale sono multati fino a 270 dollari e reati ripetuti potrebbero comportare l’arresto per un breve periodo. Proprio in Uzbekistan la polizia ispeziona regolarmente le moschee per assicurarsi che gli uomini musulmani non si facciano crescere la barba. Negli ultimi anni ci sono state molte segnalazioni di poliziotti che hanno preso di mira uomini musulmani praticanti con la barba lunga, non chi se la fa crescere per moda, nel tentativo di combattere l’Islam radicale. 

Il Daghestan, facente parte della Federazione Russa, dopo i recenti attentati ha deciso anch’esso di imporre una stretta nei confronti dell’Islam. Il presidente della regione Sergej Milikov ha parlato degli attacchi alla sinagoga e alla chiesa avvenuti facendo riferimento all’uso del niqab, provocando numerose reazioni poiché ha parlato del divieto del niqab -il velo sul viso molto diffuso tra le donne musulmane-, sostenendo che dietro di esso si nascondono gli uomini. Tra l’altro Melikov si è detto contrario all’uso e ha ricordato che questo abbigliamento non è tipico dei popoli del Caucaso. Il Grand Mufti del Daghestan lo aveva annunciato e così è stato: ha vietato il niqab, ma il suo vice dopo la diffusa reazione negativa e la condanna di ciò ha detto che questo divieto sarà temporaneo.

Concentrandoci sui contingenti dell’Asia Centrale dello Stato islamico e la loro minaccia internazionale, la provincia del Khorasan (ISKP) dello Stato Islamico con sede in Afghanistan ha l’intento e potrebbe sviluppare la capacità di condurre operazioni esterne oltre la regione. ISKP rafforza la sua campagna per fare appello agli asiatici centrali nei loro paesi d’origine e alle diaspore all’estero. All’interno della più ampia rete dello Stato Islamico, i combattenti dell’Asia centrale – che provengono principalmente da Uzbekistan e Tagikistan – hanno aumentato la loro attenzione sull’Afghanistan negli ultimi anni, dopo aver concentrato i loro sforzi principalmente in Iraq e Siria nel periodo del Califfato. Queste comunità, inoltre, continuano a sottolineare la difficile situazione delle famiglie dei combattenti dell’ISIS dell’Asia centrale detenuti nelle strutture di detenzione siriane. Il risultato dell’ascesa dell’ISKP, che opera in prossimità geografica dell’Asia centrale, si deve anche all’intensa campagna di propaganda di quell’affiliato per fare appello agli estremisti dell’Asia centrale, inclusa la produzione di una significativa propaganda in lingua uzbeka e tagica da parte di al-Azaim, la fondazione mediatica interna del gruppo. I radicali dell’Asia centrale sono responsabili di una quota notevole dei recenti complotti e attacchi ispirati o diretti dallo Stato islamico negli Stati Uniti, in Europa, Turchia e Iran. I militanti dell’Asia centrale hanno assunto un ruolo sempre più visibile nelle attività locali, regionali e internazionali. 

Nell’agosto 2023, i media statunitensi hanno riferito che un facilitatore legato allo Stato islamico aveva contribuito a far entrare clandestinamente un gruppo di uzbeki dal Messico negli Stati Uniti. Il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale ha identificato oltre 400 migranti portati negli USA dall’Asia centrale e da altri luoghi da una rete di traffico di esseri umani affiliata all’ISIS, alcuni dei quali sono stati arrestati, mentre altri rimangono irrintracciabili. Sebbene molti siano stati rilasciati perché non erano sulla lista di controllo del terrorismo del governo, i recenti attacchi terroristici in Russia hanno suscitato maggiore preoccupazione nei confronti dell’ISIS e di conseguenza, le autorità hanno monitorato i migranti provenienti da Tagikistan, Uzbekistan, Moldavia, Kirghizistan, Georgia e Russia. Secondo i dati ottenuti da The Post da uno di questi focolai, il Tagikistan, tra ottobre 2020 e maggio 2024 sono entrati negli Stati Uniti oltre 1.500 migranti e solo quest’anno sono stati fermati almeno 500 tagiki. Benché alcuni dei detenuti siano stati accusati di violazioni dell’immigrazione, nessuno è stato accusato di reati legati al terrorismo. In più, le pesanti politiche anti-estremismo da parte del governo del Tagikistan potrebbero radicalizzare alcuni dei 10 milioni di abitanti del paese e “causare proprio il terrorismo che cercano di affrontare”, ha affermato Edward Lemon, professore della Texas A&M University, esperto di Asia Centrale, aggiungendo che i “tagiki sono stati reclutati e hanno svolto un ruolo chiave nelle organizzazioni terroristiche come lo Stato islamico in misura maggiore rispetto a molti paesi vicini negli ultimi anni.”

A proposito dell’espansione dell’ISKP nei paesi dell’Asia centrale, a giugno una cellula pesantemente armata è stata scoperta dalle autorità del Kirghizistan ed almeno 15 militanti sono stati arrestati oltre ad armi e libri islamici confiscati. Infatti, erano anche intensi nel reclutamento, distribuendo materiale fotografico e video di natura terroristica, dato che uno era stato appositamente incaricato del reclutamento da un corrispondente in Afghanistan; una madrasa clandestina, una scuola islamica, è stata chiusa, dove almeno 33 ragazzi studiavano l’Islam secondo la metodologia dello Stato Islamico. Infine, ad inizio luglio è stato sventato un colpo di stato a detta delle forze di sicurezza del Kirghizistan che hanno affermato di essere riuscite a catturare un gruppo di 5 persone, le quali stavano preparando ed organizzando rivolte e omicidi di massa. Concludendo, quindi, la situazione in Tagikistan, come detto, non è affatto più tranquilla, poiché tra il Kirghizistan e l’Afghanistan è un punto di transito per armi e movimenti di militanti, anche la popolazione, che è circa il 95% musulmana, si sta fortemente radicalizzando a causa di un governo molto laico che è andato fino agli estremi, come le restrizioni imposte analizzate. Ciò è stato sfruttato dall’ISKP per reclutare facilmente nuove reclute che si univano ai loro ranghi per effettuare attacchi in Afghanistan, o anche all’estero come nel caso del Crocus Hall russo.

Paolo Romano 

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