ARGENTINA. La scelta di Fernandez: togliere o lasciare i controlli sul dollaro

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Da Novembre, gli argentini si sono limitati a poter acquistare solo 200 dollari al mese addebitandoli sui conti in pesos. Le nuove regole limitano anche l’uso delle carte di credito per il gioco d’azzardo o l’acquisto di valute criptate all’estero. I controlli valutari, il secondo lotto in due mesi, sono stati annunciati dalla banca centrale ore dopo che il presidente conservatore Mauricio Macri ha perso la sua rielezione il 27 ottobre e resteranno valide almeno fino a quando il suo successore, il presidente eletto Alberto Fernandez, non entrerà in carica il 10 dicembre.

Mentre Fernandez non ha ancora detto definitivamente cosa accadrà ai controlli valutari una volta entrato in carica, riporta Al Jazeera, toglierli senza creare tensioni è solo una delle sfide più ardue da affrontare per mantenere la promessa di rilanciare l’economia del paese in crisi. 

A settembre, il presidente uscente Macri ha imposto misure di controllo del capitale più leggere, limitando gli acquisti mensili a 10.000 dollari e costringendo gli esportatori a rimpatriare i guadagni entro cinque o quindici giorni.

Questi limiti erano contrari al credo liberista di Macri, ma sono stati imposti dopo la sua clamorosa sconfitta alle elezioni primarie di metà agosto, che ha fatto crollare il valore del peso.

La Banca Centrale ha speso più di 22 miliardi di dollari dalle primarie di agosto per sostenere il peso e arrestare la spirale inflazionistica che attualmente si prevede che quest’anno raggiungerà il 55%. A breve termine, le restrizioni sul capitale di Macri hanno contribuito a stabilizzare le riserve di valuta estera a 43,5 miliardi di dollari, aprendo la strada al ritorno al potere di Kirchner come vicepresidente. Ma data la storia iperinflattiva del paese, gli argentini sono diventati esperti nell’anticipare qualsiasi decisione ufficiale che limiti il loro accesso ai dollari. I controlli valutari fanno parte del kit di strumenti per la crisi economica argentina fin dagli anni Trenta del secolo scorso.

Nell’ottobre 2011, l’Argentina si trovò ad affrontare sia una fuga di capitali che l’aumento dell’inflazione. Poco dopo essere stato eletto per un secondo mandato presidenziale, Kirchner introdusse restrizioni che chiedevano agli argentini di spiegare da dove provenisse il loro denaro e dimostrare di aver pagato le tasse prima di poter acquistare dollari. 

I tassi di cambio non ufficiali e paralleli divennero tra i più fantasiosi: includevano “dollari blu” che venivano venduti per le strade di Buenos Aires; “dollari suburbani” leggermente più costosi che venivano scambiati alla periferia della capitale argentina; e “dollari blu chiaro”, una media dei tassi ufficiali e del mercato nero, utilizzati nelle transazioni immobiliari, per ripartire le perdite tra acquirenti e venditori. 

C’erano anche il “Corte Ingles dollar” o “Saks Fifth Avenue dollar”, dal nome dai grandi magazzini spagnoli e americani. Il prezzo del dollaro, in pesos, è quadruplicato negli ultimi quattro anni e le restrizioni di Macri hanno impedito ai dollari di uscire dalla banca centrale. Ma i blocchi sono una spada a doppio taglio per l’economia. Alberto Fernandez sta ereditando una serie di guai economici. Oltre all’aumento dell’inflazione, l’Argentina ha livelli di povertà in aumento, disoccupazione a due cifre, un’economia che si prevede di contrarre il 3% quest’anno, e più di 100 miliardi di dollari di debito sovrano che il paese deve rinegoziare con i creditori internazionali o rischia un nuovo default.

Graziella Giangiulio