Anche il Montenegro compare nella lista dei paesi ostili a Mosca redatta dal governo russo e pubblicata lo scorso lunedì 7 marzo.
Membro della NATO dal 2017 e attualmente interessato ad avviare il processo di adesione all’Unione europea, a differenza della vicina Serbia il Montenegro si è da subito schierato a favore dell’imposizione di sanzioni e delle altre misure adottate contro Mosca all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Eppure, di fatto a oggi sembra che il blocco aereo sia l’unico provvedimento messo in atto dal governo di Podgorica in linea con le prese di posizione dei paesi alleati.
Il paese di area balcanica si trova in una posizione delicata: da sempre meta degli oligarchi russi e sede di interessi finanziari, oggi osservatori locali e ONG dedite a contrastare l’alto tasso di corruzione, che da sempre impedisce lo sviluppo politico del paese, mettono ora in guardia sull’alto rischio che il Montenegro possa diventare una meta in cui nascondere proprietà che sarebbero soggette a sanzioni. Basti pensare agli yacht appartenenti a oligarchi russi attualmente ormeggiati al porto di Tivat.
Con i suoi appena 600mila abitanti, il Montenegro si ritrova quindi a ricoprire una posizione chiave per lo svolgimento della crisi nei rapporti tra Russia e Alleanza atlantica.
Mosca intenderebbe sfruttare le tensioni interne al paese per promuovere i propri interessi, partendo dalla questione religiosa. Lo status della chiesa ortodossa serba in Montenegro è infatti un elemento cruciale per comprendere le forti divisioni interne al paese, e rappresenta uno strategico strumento di soft-power per il Cremlino. Si tratta di un problema particolarmente sentito: da anni infatti molti montenegrini auspicano il ripristino di una chiesa ortodossa autocefala locale, osteggiati invece da quanti nel paese si riconoscono come serbi. Questo è culminato nelle proteste dello scorso settembre a Cetinje, in occasione dell’insediamento del nuovo Metropolita del Montenegro, alle dipendenze della chiesa serba. Proteste che hanno anche causato un deterioramento nei rapporti tra le forze politiche che esprimono l’attuale esecutivo guidato dal Premier Zdravko Krivokapić.
Diverse personalità politiche in Montenegro rispondono di fatto agli interessi della chiesa ortodossa serba, e non a caso due anni fa l’approvazione di una legge sulla laicità dello stato in linea con le richieste di Bruxelles per la prospettiva di una candidatura all’ingresso in Ue scatenò forti proteste nel paese.
Da lì deriva anche l’attuale caos politico, con da una parte il Presidente Milo Djukanović che promuove l’adesione del paese ai principi euro-atlantici, dall’altra una coalizione di governo di cui fa parte anche il Fronte democratico (Demokratski Front, DF), partito filo-serbo che in queste settimane si è fatto notare per l’atteggiamento contraddittorio sulla questione del conflitto in Ucraina, a discapito dell’ufficiale posizione dell’esecutivo contro Mosca.
Proprio il DF nei giorni scorsi è intervenuto contro un post comparso sulle pagine social dell’Ambasciata ucraina in Montenegro e poi cancellato in cui si invitava i cittadini di paesi alleati ad attivarsi in sostegno di Kiev contro le offensive russe. I rappresentanti del partito filo-serbo hanno immediatamente invocato l’intervento delle autorità montenegrine contro il reclutamento di cittadini che intendono raggiungere il fronte ucraino, accusando la rappresentanza diplomatica di Kiev di voler “destabilizzare” il Montenegro.
Nel frattempo, nel paese continuano a svolgersi manifestazioni anche improvvisate di cittadini che sostengono l’aggressione russa in Ucraina. Una questione che rischia ulteriormente di mettere a rischio le istituzioni del paese, membro dell’Alleanza atlantica da soli cinque anni.
Carlo Comensoli