SIRIA. Geopolitica dell’umanitarismo: il ruolo delle ONG nel progetto politico turco-qatariota

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La regione nordoccidentale della Siria è sempre stata il fulcro di una strategia complessa e multidimensionale condotta da Turchia e Qatar, in un contesto segnato dal conflitto siriano e dalla persistente crisi umanitaria. 

Attraverso un uso combinato di strumenti militari, cooperazione umanitaria e progetti di ricostruzione, Ankara e Doha hanno progressivamente consolidato la loro presenza nell’area, favorendo una riconfigurazione demografica e politica coerente con i propri interessi regionali. Il presente contributo analizza il ruolo centrale svolto dalle organizzazioni non governative (ONG) come veicoli del soft power turco-qatariota, evidenziando come iniziative apparentemente umanitarie abbiano in realtà contribuito alla creazione di un’area cuscinetto e a una trasformazione profonda del tessuto sociale locale, in particolare a discapito delle popolazioni curde.

La strategia turca nel nord-ovest della Siria prima della caduta di Assad: creazione di un’area cuscinetto e cambiamento demografico.

Prima della caduta del governo di Bashar al-Assad, il nord-ovest della Siria è stato teatro di una strategia articolata da parte della Turchia, fondata su un intreccio di azioni militari, iniziative umanitarie e trasformazioni demografiche. L’obiettivo di Ankara era duplice: da un lato consolidare la propria influenza geopolitica nella regione; dall’altro, creare un’area cuscinetto stabile e favorevole ai propri interessi, a ridosso del confine meridionale.

In questo contesto, il ruolo delle organizzazioni umanitarie si è rivelato centrale. Attraverso enti come la Fondazione turca per gli aiuti umanitari (IHH), la Mezzaluna Rossa del Qatar (QRCS) e l’organizzazione Watan, tutte con sede a Istanbul, la Turchia ha promosso la costruzione di villaggi residenziali, la distribuzione di aiuti e l’implementazione di servizi sanitari gratuiti nelle aree colpite dal conflitto e dai disastri naturali, principalmente nel nord ovest della Siria controllato dalle forze di opposizione al regime di Assad, supportate dal governo turco. Tuttavia, questi progetti apparentemente umanitari celavano un disegno politico più ampio: alterare la composizione demografica della regione.

Un esempio emblematico è rappresentato dal “Progetto residenziale Al-Nour”, inaugurato il 5 aprile 2024 nella città di Jinderes, nella regione di Afrin, a nord di Aleppo. Ufficialmente destinato a ospitare le vittime del terremoto, il villaggio è stato costruito dall’organizzazione Wefaq con il sostegno di 48 donatori arabi. Tuttavia, la maggior parte delle abitazioni è stata assegnata a famiglie sfollate fedeli ad Ankara e a membri di fazioni filo-turche, mentre la popolazione curda originaria ha ricevuto un numero minimo di unità abitative, in netto contrasto con le dichiarazioni ufficiali.

Un altro caso emblematico è il lancio di un progetto globale per la cura e assistenza degli orfani nel quadro di un accordo strategico tra la Mezzaluna Rossa del Qatar (QRCS) e la Fondazione turca IHH, siglato nell’agosto 2014 e annunciato in conferenza stampa a Doha. Secondo quanto riportato dal sito ufficiale della QRCS, le due organizzazioni hanno firmato un patto di collaborazione per avviare un programma internazionale di assistenza agli orfani, con l’obiettivo di fornire supporto integrato (a breve, medio e lungo periodo) a bambini vulnerabili in Siria e in altre aree geografiche colpite da crisi. Questo progetto prevede la fornitura di servizi essenziali come istruzione, assistenza sanitaria, supporto psicologico e aiuti alimentari, rafforzando ulteriormente la presenza e l’influenza delle due organizzazioni nelle aree interessate, come nel nord ovest della Siria. Con questo accordo, le due agenzie umanitarie sono diventate partner permanenti.

Questi interventi sono stati accompagnati da una presenza militare attiva sul territorio. Le zone di Nord Aleppo, al-Bab e Afrin sono state presidiate da milizie filo-turche appartenenti alla Syrian National Army (SNA), mentre parallelamente si promuoveva il reinsediamento forzato di rifugiati siriani provenienti dalla Turchia grazie al contributo di collaborazioni con le organizzazioni umanitarie. In questo modo, Ankara ha trasformato l’area in una vera e propria zona di influenza sotto controllo diretto o indiretto.

Il ruolo del soft power turco

Oltre agli strumenti militari e logistici, la Turchia ha fatto ampio uso del soft power, promuovendo la stabilità e la ricostruzione attraverso un sistema capillare di ONG siriane con sede in territorio turco. Queste organizzazioni, fondate principalmente tra il 2011 e il 2014, hanno agito come un ponte tra la società civile siriana e la comunità internazionale. Il loro operato ha spaziato dall’assistenza alimentare e sanitaria fino allo sviluppo agricolo e infrastrutturale, contribuendo al rafforzamento dell’influenza turca nella regione.

Tra le realtà più significative figura la Syrian NGO Alliance, costituita nel 2014 e composta da 24 ONG siriane con base operativa in Turchia. Molte di esse hanno anche sedi legali in paesi occidentali, come gli Stati Uniti, a dimostrazione della loro rete transnazionale. Un esempio di questa dimensione globale è l’organizzazione Big Heart, fondata nel 2012 e registrata negli USA come ente no-profit 501(c)3. La Presidente di questa organizzazione è la Dott.ssa Jennifer Coolidge, la quale è anche CEO di una società di consulenza energetica (CMX), operante nel mercato petrolifero e del gas nella regione del Caspio e in Iraq. Big Heart si occupa principalmente di fornire infrastrutture e consulenza energetica, un ambito chiave per la ricostruzione post-bellica. 

In sintesi, prima della caduta di Assad, la Turchia ha implementato una strategia multidimensionale per consolidare la propria presenza nel nord-ovest della Siria. Attraverso l’uso combinato di forze militari, strumenti umanitari e politiche di reinsediamento, Ankara ha promosso un cambiamento demografico sistemico, con importanti conseguenze sugli equilibri locali, in particolare a discapito della popolazione curda. Le ONG siriane con sede in Turchia, sostenute logisticamente e politicamente da Ankara, in contatto continuo con la parte qatariota, si sono rivelate strumenti chiave di questa strategia, rappresentando uno dei pilastri principali del soft power turco nella regione.

Terremoto Turchia-Siria del 2023: nuove opportunità per le ONG vicine alla Turchia

Il 6 febbraio 2023 un potente terremoto di magnitudo 7.8 ha colpito la Turchia centrale e meridionale e la Siria settentrionale e occidentale, seguito circa undici ore dopo da una seconda scossa di magnitudo 7.7. I due sismi hanno causato distruzioni estese su un’area vasta quanto la Germania, con oltre 59.000 vittime stimate tra Turchia e Siria, numero che potrebbe essere più alto. Oltre 10.000 scosse di assestamento, tra cui una di magnitudo 6.7, hanno complicato i soccorsi e causato ulteriori danni e vittime. Circa un milione di persone sono rimaste senza casa, innescando un esodo interno, soprattutto in Siria. Il sisma è avvenuto in un contesto di grave crisi umanitaria in Siria nordoccidentale, dove 4,1 milioni di persone dipendevano dagli aiuti, secondo il report ONU “Türkiye-Syria Earthquake Response”. La risposta internazionale ha coinvolto le Nazioni Unite, OMS, UE, NATO e Banca Mondiale, con interventi umanitari e raccolta fondi. In Siria, già colpita da una crisi socio-economica, il sisma ha offerto alle ONG nuove opportunità di intervento – specialmente nelle aree nordoccidentali del Paese controllate e gestite da gruppi armati di opposizione come HTS e le fazioni filo turche appartenenti all’Esercito nazionale siriano (SNA)- con il consenso della Turchia per il passaggio ai valichi di confine.

Dalla presenza informale al riconoscimento politico: Turchia e Qatar nella nuova Siria post-Assad

Con l’insediamento del nuovo governo siriano guidato da al-Sharaa, la presenza turca nel Paese ha acquisito anche una legittimazione politica. Questo cambiamento ha avuto importanti conseguenze sul terreno: le attività umanitarie e le ONG non solo proseguono, ma assumono un ruolo ancora più centrale, sia nella realizzazione di infrastrutture che nella fornitura di aiuti umanitari. Una delle novità più significative è lo spostamento delle sedi fisiche delle ONG direttamente in Siria, segnando una fase operativa più radicata e continuativa. Inoltre, si evidenzia con forza la presenza del Qatar, non solo sul piano politico ma anche nell’ambito del soft power umanitario. È importante sottolineare che non sono state create nuove organizzazione umanitarie. Si tratta delle stesse organizzazioni già attive nelle regioni settentrionali della Siria, che ora proseguono il loro operato in un contesto politico differente.

Il ruolo del Qatar e delle ONG in Siria

Il Qatar ha assunto un ruolo di primo piano nella risposta umanitaria in Siria, distinguendosi per l’ampiezza degli investimenti, la continuità degli interventi e la capacità di mobilitare risorse su larga scala. Questo impegno si manifesta sia attraverso finanziamenti diretti sia tramite una rete di ONG e fondazioni collegate. Il panorama delle organizzazioni attive riflette una forte componente turca e qatariota, ma si assiste anche a una progressiva internazionalizzazione della risposta umanitaria. 

Un esempio di questa tendenza è rappresentato dalla Humanitarian Relief Foundation (IYD), che ha la sede principale in Turchia e in Siria, ma anche in Francia e Ucraina, confermando l’evoluzione verso una solidarietà globale sempre più articolata. 

Altro esempio è rappresentato dal saudita King Salman Humanitarian Aid and Relief Center (KSRelief), che ha firmato un accordo di cooperazione con l’International Association for the Care of Victims of War and Disasters (“Al Ameen” con sede principale nel Manchester, nel Regno Unito) per costruire e attrezzare un centro sanitario avanzato a Damasco, in diretto coordinamento con il Ministero della Salute siriano. Il progetto mira a migliorare i servizi sanitari primari e secondari nella capitale siriana mediante la creazione di un centro medico integrato che risponda alle esigenze della popolazione locale e sostenga gli sforzi di risposta sostenibile durante la fase di ripresa. Durante la firma dell’accordo, le due parti hanno sottolineato l’importanza di questo progetto come passo avanti qualitativo verso il rafforzamento delle infrastrutture sanitarie e il rafforzamento delle partnership umanitarie a beneficio del popolo siriano. 

Un altro esempio di questa tendenza è rappresentato dalla Rahma Worldwide, fondata nel 2014 dal malesiano Shadi (Omar) Zaza, CEO della stessa, con sede negli Stati Uniti. I progetti spaziano dall’invio di aiuti umanitari che includono beni di prima necessità a missioni mediche (l’ultima è stata l’assistenza ai sopravvissuti della nota prigione di Sednaya, a Damasco, nell’era di Assad), operando principalmente in Siria, Libano, Yemen, Striscia di Gaza e diversi Paesi africani. E’ stato scoperto che la Rahma ha collaborato con il Ministero dello sviluppo sociale di Gaza (MoSD), legato ad Hamas, coordinando una varietà di programmi di aiuto nel territorio palestinese attraverso l’invio di denaro e materiali, nonché ai gruppi terroristici del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), e con il gruppo terroristico kuwaitiano Islamic Heritage Revival Society (RIHS). Secondo il Sistema di monitoraggio finanziario (FTS) delle Nazioni Unite, nel 2023, la Rahma Worldwide ha ricevuto circa 300.000 dollari da altre due organizzazioni kuwaitiane, Al Najat Charitable Society e Namaa Charity, per progetti a Gaza. 

Anche l’associazione umanitaria bosniacaPomozi.baè un chiaro esempio di una progressiva internazionalizzazione della risposta umanitaria. Ideata e fondata nel 2012 da Elvir Karalić, ancora presidente della stessa, l’associazione opera in primis in Bosnia Erzegovina, dove ha la sede principale, al contempo si occupa di inviare aiuti umanitari – perlopiù beni di prima necessità – alle popolazioni duramente colpite da guerre e dalla povertà (Yemen, Libano, Siria, e Gaza). A partire da aprile 2025 ha avviato una serie di campagne rivolte ai bambini orfani della Siria, Yemen e Gaza. Al fine di rafforzare le attività in corso e di ampliare la cooperazione tra Siria e l’associazione umanitaria bosniaca, riportiamo l’incontro a Damasco tra il rappresentante della Pomozi.ba, Amir Nedimović, e il portavoce del Ministero degli Affari Sociali e del Lavoro, avvenuto il 5 giugno 2025. Durante l’incontro si è discussa della possibilità di aprire una filiale dell’organizzazione bosniaca in Siria, in quanto l’obiettivo dichiarato è di costruire una scuola per orfani siriani. Pertanto, la Pomozi.ba intende acquisire un ruolo di rilievo all’interno del tessuto sociale siriano.

I principali strumenti del soft power qatariota

Tra gli attori principali spiccano tre enti:

  • Qatar Charity ha avviato progetti di grande impatto come la realizzazione della “Città della Speranza” nel nord ovest della Siria. Questo complesso fornisce alloggio, scuole, servizi sanitari e infrastrutture a 8.800 sfollati, rappresentando un modello di urbanizzazione pianificata a scopo di trasformazione demografica sotto il velo umanitario.
  • Qatar Fund for Development (QFFD) ha stanziato nel 2024 5 milioni di dollari per interventi in Siria. Il suo ruolo non si limita alla fornitura di beni materiali, ma comprende anche il sostegno diretto ai dipendenti pubblici siriani, contribuendo alla stabilità delle istituzioni locali nelle aree colpite.
  • Qatar Red Crescent Society (QRCS), o Mezzaluna Rossa del Qatar, lavora in stretta sinergia con QFFD e con le Nazioni Unite, fornendo assistenza sanitaria e aiuti umanitari. Questa cooperazione rafforza le capacità di risposta alle emergenze e amplia la copertura dei bisogni essenziali della popolazione.

Questa fase, caratterizzata da nuove legittimità politiche e rafforzamento delle reti umanitarie, vede dunque il consolidarsi della strategia turco-qatariota nel nord della Siria. Un sistema che, attraverso ONG, progetti integrati e soft power, continua a modellare il futuro della regione ben oltre la semplice assistenza emergenziale e il sostegno alla ricostruzione dello Stato siriano. Attualmente, in coordinamento con il Ministero della Salute siriano, la Qatar Charity intende realizzare un reparto pediatrico presso l’ospedale di Afrin e un centro oncologico per fornire dosi ai pazienti e fornire supporto nel campo dei medicinali e dei dispositivi medici. La Mezzaluna Rossa del Qatar ha lanciato un progetto umanitario chiamato “Migliorare l’accesso a programmi di nutrizione completa e di nutrizione infantile nelle emergenze”. Il progetto coinvolge 48 operatori sanitari e viene implementato nella Siria nordoccidentale in collaborazione con l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA). Il progetto raggiungerà più di 212.000 beneficiari diretti in 26 località nei villaggi e nei campi per sfollati, tra cui circa 80.000 bambini e 60.000 donne incinte o in allattamento. Obiettivo del progetto è quello di individuare precocemente la malnutrizione acuta effettuando screening, fornendo integratori alimentari preventivi e indirizzando i casi gravi e complessi a centri di cura specializzati.

Principali ONG e fondazioni umanitarie attive in Siria: tra assistenza e intrecci geopolitici

Numerose ONG e fondazioni umanitarie operano in Siria, in particolare nel nord-ovest del Paese (nelle aree che erano controllate dai gruppi dell’opposizione come Hay’at Tahrir al-Sham), dove l’emergenza post-terremoto del 2023 ha riattivato reti di aiuto transfrontaliere. Tra le più attive vi sono Shafak, IhsanRD e Orange Organization, con sede in Turchia e focalizzate su Aleppo e Idlib. Realtà come SEMA, SRD e BINAA forniscono servizi sanitari e infrastrutturali, mentre POINT, con sede principale a Gaziantep, in Turchia, e due filiali a Idlib e Azaz, in Siria, ha implementato oltre 100 progetti in Siria, spaziando dalla protezione all’emancipazione economica.

Alcune fondazioni turche come AFAD (Presidenza turca per la gestione dei disastri) e TİKA (Agenzia turca di cooperazione), coordinate con il governo di Ankara, svolgono un ruolo centrale nella costruzione di insediamenti e nella distribuzione di aiuti, come la “Città per 70.000 persone” realizzata con il Qatar Fund for Development; ma svolgono anche una funzione strategica, consolidano cioè la presenza turca nei territori frontalieri, in un’ottica di soft power e contenimento curdo. 

Operando in stretta coordinamento con le Nazioni Unite, il King Salman Humanitarian Aid and Relief Center (KSRelief), fondato nel 2015 dal re Salman bin Abdulaziz, è uno dei principali strumenti con cui Riyadh esercita un’influenza strategica nel mondo arabo attraverso l’aiuto umanitario. La natura statale di KSRelief fa sì che gli aiuti siano strettamente integrati nella politica estera saudita, utilizzati per rafforzare alleanze locali, contrastare l’influenza iraniana e alimentare la narrativa di Riyadh come potenza “benefattrice” del mondo islamico sunnita.

Un caso particolarmente controverso è quello di Rahma Worldwide, ONG fondata dal malese Shadi Zaza negli Stati Uniti, e attiva in Siria, Gaza, Yemen e Libano. Nonostante l’apparenza di ente umanitario, l’organizzazione è stata riconosciuta per legami con soggetti sanzionati per terrorismo da Washinton e dalle Nazioni Unite, come la kuwaitiana Islamic Heritage Revival Society (RIHS) che ha stretto collaborazioni con Al Qaeda nella sua filiale in Pakistan e Afghanistan, e ha collaborato con istituzioni legate ad Hamas e al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Questo solleva interrogativi sull’effettiva trasparenza e sulle reti di finanziamento di alcune missioni umanitarie apparentemente neutrali.

Cristina Uccello e Maria Elisabetta Papa

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