«Le norme sull’immigrazione sono vecchie di vent’anni»

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ITALIA – Roma, 31/10/2013. “Cittadinanza e integrazione: esperienze a confronto”, è il titolo del convegno svoltosi il 30 ottobre che ha avuto come special guest Cècile Kyenge, ministro per l’Integrazione, assieme a Chris Hedges, del dipartimento immigrazione dell’Home Office Uk; Kathleen A. Doherty, vice capo missione dell’ambasciata statunitense in Italia e Anna Envall, del dipartimento integrazione e sviluppo urbano del ministero del Lavoro svedese.

«Integrazione e cooperazione vogliono dire lavorare insieme» ha esordito Cècile Kyenge. Gli italiani secondo il ministro sono al giorno d’oggi spaesati di fronte all’aumento demografico della popolazione immigrata, ma questo non vuol dire che il popolo italiano, di cui la Kyenge si sente parte, non debba dimenticare uno dei suoi valori principali, se non il più italiano e tradizionale di tutti: quello dell’ospitalità. L’integrazione si compone di tre fasi fondamentali: l’adeguamento, che non riguarda solo lo straniero ma è un processo a doppio senso che coinvolge anche il nativo, volente o nolente; l’interazione tra le due culture, zenit dello scambio culturale; ed infine la fase finale di perfezionamento dell’interazione. Richiamandosi ai precetti della nostra Costituzione, la Kyenge sottolinea che proprio la parola “insieme”, a prima vista molto semplice, in un contesto quale quello dell’integrazione in Italia si carica di un significato particolarmente significativo. Il nemico in Italia è l’evasore, colui che sfrutta il lavoro e  non l’immigrato accusato di rubarlo agli italiani. Chi sfrutta il lavoro e chi non rispetta le regole, indipendentemente dal colore della sua pelle, rappresenta il male della società e il governo si impegna a combatterlo. «Le norme italiane sul tema dell’integrazione sono vecchie di vent’anni» prosegue il Ministro, facendo trasparire tutta la loro inadeguatezza per affrontare le sfide del XXI secolo, sottolineando però che l’assimilazione pura e semplice non rappresenta affatto la soluzione al problema in quanto tende ad allontanare tutto il background culturale che lo straniero porta con sé. L’obbiettivo principe infatti è quello di tendere ad una società il più compatta possibile e allo stesso tempo poliedrica, dove tutte le diverse culture che la compongono si fondono in un crogiolo multietnico.

Kathleen Doherty, dell’ambasciata americana, ha osservato che in un contesto del genere dare libero sfogo alla cultura dello straniero è un’arma più che vincente. Richiamandosi al melting pot americano, Doherty ha sottolineato come il fenomeno Google e Ebay – per citarne solo due – sia stato partorito da menti straniere che si sentivano americane, dando un forte contributo alla società nel suo insieme. «Dobbiamo continuare ad attirare the best and the brightest» ha concluso «perché è proprio in questi, i migliori e i più brillanti, non di rado immigrati, che risiede la chiave del successo. 

Chris Hedges, del dipartimento immigrazione britannico, ha illustrato invece i pilastri del successo inglese in materia di integrazione. Da una parte, Hedges ha richiamato il profondo senso di appartenenza alla nazione radicato negli immigrati di prima generazione,e ancor di più in quelli della seconda; dall’altra, la ricerca e l’identificazione di un “common ground”, ossia di un retroterra comune a tutta la popolazione residente. Questi due si integrano poi con una buona mobilità sociale e soprattutto con programmi massicciamente diffusi per l’apprendimento della lingua inglese.

Infine la svedese Anna Envall, dopo aver spiegato la storia dell’emigrazione-immigrazione svedese e delle politiche relative, si è soffermata ad analizzare le possibili sfide future per il suo paese, tra le quali sommosse, alienazione, disoccupazione giovanile e il difficile rapporto all’interno del Parlamento con il partito svedese di estrema destra.      

Tornando all’Italia, Khalid Chaouki, deputato del PD, responsabile Nuovi Italiani della commissione Esteri della Camera dei deputati, si è augurato che il nostro Paese possa al più presto inaugurare le politiche seguite negli altri Stati europei e seguire il loro esempio, osservando che, fin quando gli italiani non avranno preso coscienza della mutata composizione sociale, delle sfide che essa ci porta e anche dei suoi innumerevoli vantaggi il problema sarà destinato a persistere ancora per molto. Il governo Letta è particolarmente sensibile a questa tematica e per far fronte al razzismo lancerà un programma triennale comprensivo di cinque punti: sport, istruzione, abitazione, lavoro e sanità. Il Ministro riferendosi al rapporto straniero-ospitante ha concluso dicendo: «Uno più uno non fa due ma un risultato molto più alto se gli attori in gioco fanno la loro parte. Dentro ogni uomo e dentro ogni donna abitano diverse culture; c’è uno straniero dentro ognuno di noi».