GLOBALIZZAZIONE. La miopia geoeconomica regna sovrana

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Negli ultimi anni la tensione geopolitica tra Cina e Occidente ha avuto un impatto crescente sul commercio e sugli investimenti globali. Le multinazionali hanno iniziato a spostare la produzione in paesi “più amici” per ridurre il rischio di rimanere invischiate nelle controversie su Hong Kong, Taiwan, sul Mar Cinese Meridionale e altre preoccupazioni.

Con gli Stati Uniti che impongono controlli sulle esportazioni di articoli tecnologici avanzati come i chip dei computer, oltre alle preoccupazioni sullo spionaggio e ai sussidi statali su larga scala, le conseguenze per i mercati globali sono state significative, ripota AF. Le catene di approvvigionamento tradizionali si sono logorate, mentre Washington, l’Europa e gli stati occidentali cercano di allentare la dipendenza reciproca, per ritornare a qualcosa che noon sembra adeguato più alla scala de marcati: la produzione interna e di piccola scala. Tutto ciò potrebbe contribuire a mantenere elevati l’inflazione e i tassi di interesse.

Questa contrazione occidentale sta creando indubbi vantaggi per le nazioni emergenti e i colossi tecnologici che si schierano utilizzando diverse direttrici operative, purtroppo anch’esse affette da miopia economica e scarsa visione nel lungo periodo.

Volendo combattere l’inflazione, il presidente uscente Usa, Joe Biden, è determinato a riportare in patria la produzione in settori strategici come i veicoli elettrici e i semiconduttori. Tsmc, il più grande produttore di chip al mondo, sta spostando parte della produzione in Germania e Giappone per soddisfare l’esigenza dei produttori multinazionali di diversificare le catene di approvvigionamento dalla Cina. Una ricerca di Goldman Sachs ha scoperto che riportare la produzione in patria potrebbe avere ripercussioni inflazionistiche, in particolare se la produzione occidentale non aumenta abbastanza rapidamente da compensare il calo delle importazioni.

Un’inflazione prolungata negli Stati Uniti significa anche che i tassi restano più alti più a lungo, dando impulso al dollaro. Un dollaro più forte può esportare l’inflazione verso le nazioni importatrici di risorse in Europa, costringendole a pagare di più per le materie prime pagate in dollari. Molte banche centrali mirano a un’inflazione del 2%; gli indicatori di mercato delle aspettative di inflazione a lungo termine degli operatori economici negli Stati Uniti e in Europa sono però in rialzo.

Washington sta spingendo il “friendshoring”, l’idea di sostituire il ruolo della Cina nelle catene di approvvigionamento con nazioni amiche oggi. Vietnam e Messico sono i principali beneficiari del cambiamento della catena di fornitura statunitense finora. La Mongolia sta cercando investimenti da parte degli Stati Uniti nell’estrazione di terre rare, materiali utilizzati in prodotti high-tech come gli smartphone. Le Filippine corteggiano gli investimenti infrastrutturali degli Stati Uniti.

L’India è considerata il paese più in grado di competere con la Cina nella produzione su larga scala e a basso costo. La sua popolazione numerosa e giovane e una classe media in espansione creano anche opportunità per le multinazionali che vedono meno affari in Cina. Le azioni indiane hanno registrato un rialzo dell’8% quest’anno e la prospettiva di flussi di investitori nel mercato obbligazionario ha appena ricevuto una spinta dal piano di JPMorgan di includere l’India in un indice chiave dei titoli di stato il prossimo anno. La banca centrale indiana prevede che l’economia si espanderà del 6,5% quest’anno fiscale, mentre la Cina dovrebbe crescere intorno al 5% quest’anno.

L’Ue sta valutando se imporre tariffe punitive contro le importazioni cinesi di veicoli elettrici che, a suo avviso, beneficiano di eccessivi sussidi statali. I sussidi statunitensi per la produzione nazionale di semiconduttori hanno rafforzato le azioni di Intel. Ma la performance dei grandi titoli tecnologici statunitensi e degli indici azionari globali è vulnerabile ai segnali di ritorsione cinese.

Le azioni Apple sono scese di oltre il 6% in due giorni all’inizio di settembre sulla scia delle notizie secondo cui Pechino avrebbe vietato ai dipendenti pubblici di utilizzare gli iPhone. Con la Cina che è il principale acquirente mondiale di beni di lusso, anche le case di moda occidentali sono intrappolate nella politica. Il principale organo di controllo anti-corruzione della Cina ha promesso di eliminare quello che definisce l’edonismo delle élite occidentali. Le banche cinesi hanno intimato al personale di non indossare articoli di lusso europei al lavoro.

Le azioni del settore del lusso sono aumentate quando la Cina ha allentato le restrizioni sul Covid-19 alla fine del 2022. Da allora, con l’economia cinese in stasi e le tensioni con l’Occidente in aumento, sono crollate. I titoli europei del lusso sono scesi del 16% nel terzo trimestre.

Da un sondaggio condotto da JPMorgan tra gli investitori nel credito è emerso che il 40% è ribassista nei confronti della Cina, ma quasi la stessa percentuale vorrebbe aumentare le allocazioni.

Luigi Medici

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