CINA. L’intelligence definisce una minaccia l’ambientalismo estremo contro l’industria ittica

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Il ministero cinese della Sicurezza di Stato, la principale agenzia di intelligence, ha definito l’“ambientalismo estremo” che ha preso di mira l’industria della pesca, una minaccia alla sicurezza nazionale.

Il 31 gennaio, in un post su WeChat, il Ministero ha definito il caso di un ambientalista come pericoloso per la sicurezza nazionale della Cina, perché l’attività di protezione ambientale è facile strumento di reclutamento delle “forze anti-cinesi”, riporta Scmp

Il Ministero narra di un caso in cui un ambientalista cinese, arruolato da forze nemiche della Cina aveva creato una rete e una struttura ambientalista le cui azioni avevano portato alla soppressione delle esportazioni acquatiche cinesi da parte di alcune entità straniere con il pretesto della “protezione ambientale”, che ha definito una “cospirazione politica attentamente orchestrata”.

Il Ministero afferma che l’economia cinese è “in ripresa e mostra segni di miglioramento a lungo termine”, ma alcuni paesi, che non vengono nominati, stanno utilizzando le questioni ambientali per impegnarsi in un protezionismo che sta ostacolando la crescita del commercio estero della Cina.

Pechino è alle prese con una lenta ripresa economica post-pandemia, mentre una crescente attenzione alla sicurezza nazionale ha permeato tutti gli aspetti della sua governance in un momento in cui la rivalità con l’Occidente si sta intensificando.

La Cina è il più grande produttore mondiale di prodotti ittici di acquacoltura ed è anche il più grande esportatore di prodotti ittici, rappresentando oltre il 60% della produzione globale.

Si prevede che l’importanza dell’industria della pesca aumenterà data la sua importanza nell’economia nazionale, la ricerca di Pechino per la sicurezza alimentare e la sua spinta ad espandere l’economia oceanica negli ultimi anni.

Ma la Cina è stata a lungo criticata per gli elevati sussidi statali concessi al settore e per il suo ruolo nell’esaurimento degli stock ittici mondiali e nel danneggiamento degli ecosistemi marittimi dopo aver esaurito le proprie risorse. Le proteste argentine ed ecuadoriane ad esempio in merito alla pesca dei calamari o quella dell’Indonesia per la pesca illegale nell’area di Natuna ne sono testimonianza. 

A giugno 2023, la Cina ha formalmente accettato un accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio per tagliare i sussidi statali al settore della pesca, mentre i 164 membri dell’Omc hanno concordato di lavorare per ridurre i miliardi di dollari in sussidi governativi “dannosi” che stanno impoverendo gli oceani.

Rispondendo alle pressioni internazionali dei gruppi ambientalisti e dei governi stranieri, negli ultimi anni Pechino ha rafforzato i controlli sulla sua flotta peschereccia, riducendo anche il numero di navi coinvolte nella pesca in acque lontane.

Luigi Medici

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