CINA. Aumentano gli scioperi nelle aziende: la crisi si scarica sui lavoratori

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Aumentano gli scioperi nelle fabbriche cinesi: 140 scioperi in 5 mesi.

Si tratta del numero più alto in sette anni e si prevede che diventeranno sempre più frequenti a causa del rallentamento globale che colpisce le retribuzioni dei lavoratori e la chiusura degli impianti.

Le esportazioni e la produzione delle fabbriche sono scese ulteriormente a maggio, mentre si profila un taglio degli ordini di beni prodotti in Cina da parte delle aziende negli Stati Uniti e in Europa, riporta AF. Secondo i ricercatori cinesi, alcune fabbriche hanno chiuso o hanno difficoltà a pagare i salari o le indennità per i lavoratori licenziati.

Questo ha portato a un’impennata dei contrasti nel mondo del lavoro che hanno danneggiato la fiducia dei consumatori e delle imprese, proprio mentre si stava riprendendo da tre anni di restrizioni imposte dal Covid-19.

Il gruppo per i diritti China Labour Bulletin di Hong Kong ha registrato oltre 140 scioperi nelle fabbriche di tutto il Paese nei primi cinque mesi di quest’anno, il numero più alto dopo i 313 registrati nello stesso periodo del 2016.

I dati del Clb si basano per lo più su proteste riportate sui social media, alcune delle quali Clb è riuscita a verificare attraverso contatti con i sindacati o le fabbriche, anche se non tutte le segnalazioni sono verificate.

Molti degli scioperi si concentrano nel cuore della Cina manifatturiera, la provincia di Guangdong e il delta del fiume Yangtze, e coinvolgono gli esportatori, tra cui le fabbriche di abbigliamento, scarpe e circuiti stampati.

Una serie di video usciti su Douyin, la versione cinese di TikTok hanno testimoniato le agitazioni e i contrasti fra proprietà e lavoratori.

Reuters ha verificato la posizione dei video e delle foto confrontando le insegne e le caratteristiche degli edifici con i dati di street view, ma non ha potuto confermare la tempistica delle proteste.

Gli utenti di Douyin non hanno risposto ai messaggi di Reuters e i partecipanti alle proteste sono spesso monitorati dalle forze di sicurezza.

I tagli agli stipendi e i licenziamenti “derivano dalla sovraccapacità”: le fabbriche cinesi, che producono un terzo dei manufatti globali, formano complesse catene di approvvigionamento che alla fine si basano molto più sulle esportazioni che sulla domanda interna, portando a giganteschi surplus commerciali in un’economia da 18.000 miliardi di dollari.

I produttori si avvalgono di una forza lavoro di centinaia di milioni di migranti rurali, molti dei quali con contratti temporanei o assunti in modo informale, dice Clb.

Ciò rende i lavoratori vulnerabili agli straordinari non pagati, ai tagli di stipendio improvvisati o ai licenziamenti senza un giusto processo o una compensazione, poiché le fabbriche cercano di ridurre i costi. Per i lavoratori è difficile vincere in qualsiasi conflitto. Le forze di sicurezza intervengono tempestivamente per disperdere i manifestanti e censurano le prove delle controversie sui social media.

Sebbene i sindacati siano stati fondamentali per le origini proletarie del Partito Comunista, hanno un ruolo marginale nella moderna Cina autoritaria.

Tuttavia, secondo alcuni analisti, gli scioperi nelle fabbriche potrebbero diventare un grattacapo politico per il Partito.

Se la sovraccapacità viene affrontata solo con tagli agli stipendi e licenziamenti queste misure non risultano dannose per la crescita economica, ma anche possono diventare fonte di instabilità politica.

Tommaso Dal Passo

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