L’Internet delle cose – The Internet of Things (IoT)

85

L’internet delle cose. A vent’anni esatti dall’apertura del World Wide Web tramite il browser Mosaic da parte del CERN di Ginevra, si stimano nel mondo 2,4 miliardi di persone connesse alla rete, di cui in Italia circa 35,8 milioni, anche grazie all’imponente diffusione della telefonia mobile.

 

La rete internet infatti “non esiste”, ovvero esiste (al momento) solo in funzione della rete telefonica, centrale e periferica, ed una serie di protocolli che utilizzano questa infrastruttura per la comunicazione digitale (pila o stack ISO-OSI). 

Dunque, una parte significativa della popolazione ha accesso ad una mole sempre più consistente di informazioni, di contenuti multimediali ed è in grado di utilizzare nuovi strumenti per la comunicazione decisamente più veloci rispetto a soli vent’anni fa. Mentre cresce il divario fra chi è “abilitato” ad internet e chi è tecnologicamente impossibilitato (digital-divide), nuovi – impensabili – utenti si propongono quali consumatori e diffusori di informazioni al tempo stesso.

Già alla fine degli anni ’80 un giovane e visionario Bill Gates descriveva un futuro in cui avrebbe potuto gestire l’intera casa direttamente da un telefono. Erano gli anni di Arpanet e delle BBS (bullettin board system). Al tempo tuttavia la rete telefonica era soltanto analogica, e la commutazione in rete digitale poteva avvenire tramite l’uso di dispositivi piuttosto lenti: i modem (modulatori-demodulatori).

Ora che questi vincoli fisici sono stati superati, la domotica non è più il sogno futuristico di un imprenditore visionario, ma un’applicazione a portata di smart-phone o di tablet. Molti sistemi di antifurto per appartamenti sono gestibili direttamente dal proprio cellulare, così come gli impianti di riscaldamento e condizionamento.

Con la realizzazione del World Wide Web 2, anche i limiti degli “indirizzi” disponibili è un ricordo. E la diffusione del Wi-Fi consente di fatto ad una moltitudine di strumenti di essere connessi alla rete. Basti pensare a molti smart-tv, in grado di auto-aggiornarsi, di riconoscere l’utente sul divano e presentargli la lista dei suoi programmi preferiti.

Oppure ai frigoriferi in grado di comunicare all’utente i prodotti in scadenza, o quali sono del tutto assenti rispetto alle sue abitudini alimentari.

Diversi strumenti diventano quindi “intelligenti”, in grado di regolare la luce, il consumo elettrico, il consumo di gas e così via: nascono le Smart-City. Ogni oggetto può essere individuato tramite tag RFID (Radio Frequency Identification), oppure mediante particolari codici grafici bidimensionali (QR-Code). In alcune metropolitane del mondo, è addirittura possibile fare la spesa dai cartelloni pubblicitari, strutturati come scaffali di un supermarket, che espongono il prodotto ed il relativo QR-Code.

I campi di applicazione sono davvero vastissimi. Sono già presenti brevetti nel settore medico, che attraverso l’uso di dispositivi interconnessi consentono il monitoraggio dello stato di salute di individui “a richio”, direttamente on-line, anche mediante una centrale operativa di soccorso.

È evidente che una mole così imponente comunicazioni basate su informazioni in tempo reale possa trasformare la realtà, consentendone l’interpretazione istantanea. 

Ad esempio, la diffusione di sensori in grado di tramettere costantemente informazioni dal territorio potrebbe garantire una maggiore prevenzione in caso di problemi idrogeologici.

Pur tuttavia, si pone in modo sempre più evidente il problema del rispetto della privacy. Le nostre informazioni sono “nel cloud”, sono cioè gestite da server “remoti”, la cui potenza di calcolo è sparpagliata nei centri elaborazione dati del pianeta, come un’enorme massa neurale distribuita.

Questi CED sono comunque gestiti da persone, in luoghi che spesso hanno regole molto diverse dal luogo in cui si accede ai servizi cloud.

Chi ha realmente accesso a queste informazioni? E, soprattuto, come vengono usate davvero?

Echelon è in ascolto.#