SIRIA. Restare: una scommessa di vita o di morte

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Sebbene siano passati dodici anni dalla scoppio della rivoluzione siriana, ancora oggi il conflitto interno non è arrivato a soluzione. Vuoi per l’ingerenza esterna, vuoi per il perseguimento delle proprie rivendicazioni, vuoi per prospettive di arricchimento, le fazioni interne ai diversi schieramenti del teatro siriano continuano a dominare sulla vita della gente.

La questione della presenza di milizie e fazioni, di rami degli eserciti o di semplici gruppi armati non può essere pensata esclusivamente come parte degli scontri armati tra i principali attori che controllano i territori siriani: Governo di Bashar al Assad, Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est dei curdi, opposizione filo-turca e ribelli della formazione salafita Hayat Tahrir al Sham-HTS. È vero che gli attacchi tra le parti s’intrecciano indirettamente alla vita dei cittadini, come ha dimostrato la distruzione della Siria a partire dall’escalation militare. Ma non è solo questo. Accanto alle milizie più “istituzionalizzate” si formano anche gruppi armati, ed entrambi colpiscono direttamente la cittadinanza. Quotidianamente civili, presunti responsabili di azioni poco consone o senza accuse specifiche, vengono deliberatamente uccisi, feriti, detenuti o rapiti; la proprietà è frequentemente un miraggio. Spesso gli interessi fanno da padrone. Casi di sottrazione di proprietà, abbattimenti di alberi, lesioni alla libertà personale sono la prassi nelle aree dell’opposizione, sotto le fazioni appoggiate dalla Turchia.

Il cospicuo numero di milizie nelle aree dell’opposizione filo-turca promuove una violenza tra i vari gruppi e tra essi e la polizia militare, e giunge fino alla cittadinanza. Il problema degli arresti arbitrari caratterizza anche le aree sotto il dominio di Hayat Tahrir al Sham, dove recenti proteste hanno chiesto alle autorità di fermare ogni politica basata sulla detenzione illegale. Nelle aree governative, invece, i vari rami dell’apparato agiscono spesso in libertà assoluta, e le stesse milizie filo-governative, godendo di sostegno estero, agiscono ancor di più con ampi margini di autonomia. Questo è tanto più evidente nelle zone governative del sud-ovest della Siria, come nell’area di Daraa, famosa al pubblico per essere stata la culla della rivoluzione siriana. A fronte dell’incapacità governativa di garantire la sicurezza dei cittadini, ogni giorno si registrano casi di omicidio e di lesioni personali, per motivi di violenza domestica, furto o semplice vendetta.

Spesso, poi, le motivazioni rimangono oscure, e semplici sospetti di complicità con una parte o con l’altra spingono alla violenza. Le stesse fazioni legate al governo o gli stessi rami del suo comparto militare agiscono secondo la legge dei propri interessi di finanziamento e arricchimento, legati al contrabbando e ai traffici illegali, principalmente di quelli del Captagon. Non è strano che vengano allestiti posti di blocco improvvisati per imporre nuove tasse ai passanti, come non è inusuale che i gruppi governativi prelevino persone per obbligarle alla leva. Nelle zone sotto il controllo delle forze curde, le dispute armate claniche e familiari sono una realtà quotidiana, che produce un alto tasso di omicidi. Accanto alla “debole” ripresa di attacchi turchi e filo-turchi ai danni delle zone di controllo curdo, queste aree sono anche bersaglio di attacchi di Daesh.

Infatti, le forze curde sono assillate della presenza di Daesh, soprattutto durante il periodo del Ramadan, che ridà vigore alle cellule terroristiche. I campi di sfollati pullulano di famiglie, accusate di aver avuto legami o parenti affiliati con Daesh, e anche qui la gestione della vita delle persone presenti è del tutto improvvisata. In effetti, la presenza di campi di sfollati e il fenomeno degli sfollati interni, non solo nelle aree curde, è un problema amministrativo di non poco conto. Accanto alle disastrose condizioni di vita, si verificano spesso discussioni tra le famiglie dei campi, spesso originarie di diverse aree della Siria, e una volta che la miccia è stata accesa non si escludono morti e feriti.

In generale, tornare a casa dal mercato, affollato soprattutto nei periodi di festa, è una scommessa. Liti tra milizie, scontri tra famiglie sono le cause di morte giornaliera dei cittadini. Inoltre, la principale trappola mortale per la popolazione continua ad essere il deserto siriano. Oltre all’azione di gruppi armati, che si presume essere principalmente legati a Daesh, che colpiscono sia civili che militari, continua a riproporsi il fenomeno delle mine inesplose, che mietono vittime giornalmente. Il deserto siriano è per molti una fonte di sostentamento perché qui le persone si recano a cogliere tartufi e molti allevatori procedono a far pascolare il loro bestiame.

La notevole presenza di gruppi armati, identificabili in fazioni o meno, e di correnti interne ai diversi schieramenti non sembra potersi arrestare. Basti pensare che, alcuni gruppi, come le milizie filo-iraniane e gruppi privati stranieri, stanno procedendo al reclutamento di uomini da inserire nelle proprie file, promettendo in cambio buoni stipendi, che forniscono un mezzo per sbarcare il lunario alla popolazione più povera. Ed è così chiaro che la demilitarizzazione della popolazione diventa difficile da attuare.

Vivere in Siria, quindi, per chi è rimasto nel proprio suolo natio è una scommessa di vita o di morte. La povertà dilagante, l’assenza di un’effettiva protezione statuale e la mancanza di forme di regolamentazione si accompagnano ai carenti o assenti servizi per la popolazione, che i bombardamenti principiati con la crisi siriana avevano già portato allo stremo.

Marta Felici

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