Mindfulness, Resilienza & Life Design

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Si è celebrata il 7 aprile la giornata mondiale della salute, dedicata quest’anno alla depressione.

Si stima che circa 4 milioni di italiani, nella fascia di età 35-45 ed in prevalenza donne, sia affetto da tale disturbo. Tendenza peraltro in crescita, i cui dati potrebbero far riflettere se considerassimo, insieme alla depressione, anche gli stati ansiosi (per cui arriveremmo complessivamente al 10% della popolazione italiana).

Le cause sono da ricercarsi, naturalmente, nell’incertezza – in ogni senso: dal punto di vista personale (lavoro, relazioni familiari e sociali) ma anche collettivo (crisi economica, terrorismo, ecc.).

Rispetto agli approcci classici (“freudiano”, “junghiano”, ecc.) si stanno affiancando nuove pratiche che prendono in considerazione anche la mindfulness, ovvero lo sviluppo della consapevolezza del sé, includendo con essa sensazioni, percezioni, emozioni, pensieri, parole, azioni, e dunque la capacità di auto-comprendersi, anche attraverso un distacco dal proprio flusso di pensieri.

Si tratta di un metodo sostanzialmente cognitivo (Mindfulness-Based Cognitive Therapy: Mbct), che ha origine nel 1979 presso l’Università del Massachusetts, ad opera di Jon Kabat-Zinn, i cui concetti originali si possono ritrovare anche nella saggistica attuale: Ansia. Come il cervello ci aiuta a capirla di Joseph LeDoux, docente del Center for Neural Science della New York University.

Spesso tuttavia questi approcci intervengono ex-post, ovvero nel momento in cui l’individuo ha già maturato uno stato d’ansia persistente, o di depressione, spesso successivamente ad eventi traumatici nel corso della propria esistenza.

La “resilienza”, in psicologia, indica proprio la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi di questo tipo.

È una caratteristica personale che consente la ricostruzione di un proprio tessuto emotivo e cognitivo, esattamente come – dal punto di vista fisiologico – si rimargina una ferita.

Riconoscendo quindi la resilienza quale caratteristica positiva (disposizione psichica) e la mindfulness come approccio analitico in grado di rafforzare la resilienza, perché non “insegnare” con metodo progettuale-pedagogico come sviluppare o ripristinare questo stato psicofisico di equilibrio, ex-ante?

Considerando cioè il “costo sociale” della depressione e dell’ansia (sia dal punto di vista del sistema sanitario, ma anche produttivo aziendale) non sarebbe possibile sviluppare un Life Design Coaching, in modo strutturato, che agisca nelle aziende, nelle scuole, nei luoghi di socializzazione, e che insegni approcci e tecniche basilari per l’interpretazione del proprio vissuto?

Non si tratterebbe assolutamente di “psicoanalisi” collettiva, ma di un vero e proprio progetto pedagogico che consenta ad ognuno di trovare in sé gli strumenti adeguati per rispondere ai traumi della vita, esattamente come il buon insegnante aiuta l’allievo a sviluppare le caratteristiche intellettive ed emotive già presenti in modo potenziale.

Non è utopia. Ci sono contesti in cui counselling e coaching non sono concetti “chiusi”, fermi cioè alla lotta fra categorie di professionisti… come in Italia. Basti guardare l’esempio di Better Help.

L’Innovazione non è solo tecnologia, ma anche human&social innovation.

Sarebbe possibile nel nostro Paese?

Vittorio d’Orsi