LIBRI. Ecco come l’Europa è entrata in guerra con l’Oriente

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«La guerra poteva essere evitata, ma non l’ha voluto nessuno».

Questa frase sulla guerra in Ucraina pesa come un macigno nella premessa del testo di Fabio Mini, L’Europa in Guerra (Paperfirst); pesa come può esserlo una antica chiave per aprire un portone; pesa come può esserlo la correlazione non viziata da faziosità dei fatti avventi dal 2014 in avanti nell’area russo-ucraina; pesa come può esserlo il gridare “il re è nudo” in una sala piena di oziosi e stucchevoli conformisti imbevuti dell’ideologia dominante, anzi l’ideologia più comoda che permea ogni cosa.

Sia ben chiaro, il generale Mini non assolve la Russia di Putin che il 24 febbraio del 2022 ha invaso l’Ucraina, ma avverte il lettore a non cadere vittima della stessa propaganda occidentale, tesa a dividere in maniera manichea buoni e cattivi, che risolve una situazione assai complessa come quella tra Kiev e Mosca in una sorta di tifoseria sportiva da derby stracittadino.

La realtà ha molte facce e interpretazioni e Mini, da par suo, ci porta a mettere insieme tutti i pezzi di questo domino, drammatico e tragico nel contempo, per comprendere i diversi ruoli degli attori in campo, le loro ragioni, e sopratutto il ruolo dell’Occidente, anzi dell’Occidente Globale, come lo definiscono i russi, per dirci chiaramente che l’Europa, la nostra Europa è già in guerra, le cui conseguenze morderanno le economie delle diverse società che fanno parte dell’Unione, sperando che non arrivino a chiamare al fronte i propri figli.

L’analisi di Mini, rapida e decisa, ripercorre le diverse fasi del confronto russo-ucraino a partire dalla caduta del Muro di Berlino e all’implosione dell’Unione Sovietica, a cui ha fatto fronte l’allargamento inaspettato a volte e assai rapido, ne sono stato nel mio piccolo protagonista anche io come ufficiale di una struttura Nato, dell’allargamento a Oriente, tanto che l’intero Patto di Varsavia, i rossi o gli arancioni nelle esercitazioni della Guerra fredda, si è ritrovato all’interno dell’Alleanza con il suo carico di frizioni ed egoismi nazionali atavici mai sopiti.

«L’Europa tutta è in guerra. Il nostro piccolo continente peninsulare è spaccato dalla guerra ed essa è tornata in Europa perché noi europei e occidentali l’abbiamo fortemente voluta pensando di non doverla subire e facendola combattere soltanto all’Ucraina e alla Russia. Abbiamo finto che le provocazioni non fossero parte della guerra, che la guerra dell’informazione, la censura di guerra, con la soppressione della libertà d’informazione fosse un gioco di parole, che i carri armati fossero un ricordo, che le armi nucleari non esistessero e che le sanzioni economiche fossero uno stimolo alla nostra crescita. E l’uomo europeo ora finge di meravigliarsi (…)», prosegue Mini.

Le debolezze europee e le divisioni politiche all’intento dell’Unione col passare del tempo stanno venendo fuori, complice l’interruzione anzi l’indebolimento della ripresa economica postpandemica, al punto che in alcune nazioni del Vecchio Continente, si deve scegliere se pagare le bollette dell’energia o fare la spesa.

Nell’analisi di Mini, che nella sua lunga e brillante carriera militare è stato Capo di Stato Maggiore del Comando NATO Sud, capo del Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani e poi Comandante delle operazioni di Pace a guida NATO in Kosovo, non manca la classica domanda della retorica latina: “Cui prodest?” A vantaggio di chi?

«L’Ucraina è una dei molti passi statunitensi verso la sistemazione definitiva di una vecchia faccenda: il depotenziamento militare della Russia e quello economico dell’Europa».

Definizione stringata nella premessa e poi ampiamente illustrata nell’intenso del libro, a partire del 1945. Non si salva neanche l’Alleanza Atlantica che dalla fine della Guerra Fredda cerca una ragion d’essere che giustifichi la sua prosecuzione se non siano gli interessi politici ed economici del partner di maggioranza: gli Usa.

E l’Italia in tutto cio?

L’Italia viene analizzata nelle sue caratteristiche, pregi e difetti dello strumento militare in maniera scientifica, delineando i passi falsi e le occasioni perdute negli anni Novanta del Novecento e nei primi Duemila, così come tutti i pregi e le caratteristiche invidiabili delle sue forze armate, numeri alla mano.

È un testo che va letto, anzi divorato come ho fatto io in poche ore, attentamente perché, oggi più che mai in epoca di pensiero unico e di inutile buonismo d’accatto, occorre seguire la massima di Marc Bloch scolpita nel suo magistrale Apologia della Storia, capito quinto e chiusura del testo (incompiuto perché fucilato dai nazisti): «Per dirla in una parola, le cause, in storia non più che altrove, non si postulano. Si cercano…».

Antonio Albanese

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