Funzionari della diplomazia dell’Unione Europea hanno indicato che prevedono uno stretto partenariato economico con la Libia. La società petrolifera libica, la NOC, ha dichiarato che la produzione arriverà a 1,2 milioni di barili di greggio al giorno entro la fine dell’anno. L’Algeria ha deciso di riaprire parte della sua frontiera con la Libia. La notizia è quanto meno strana e bisognerà osservare nei prossimi giorni e mesi gli sviluppi della situazione. In effetti, questo potrebbe permettere ai contrabbandieri di cambiare “clienti” passando dai tunisini agli algerini. Soprattutto questo potrebbe permettere a due soggetti di interloquire con soggetti fratelli in Libia: i Tuareg e i terroristi. Nel primo caso si ricorda che la settimana scorsa è stato fatto un tour della regione del sud da parte del ministro per gli Affari magrebini algerino accompagnato dal generale tuareg libico Ali Kana. Potrebbe a questo punto tornare in auge il discorso di una semi autonomia del sud rispetto alle istituzioni della costa.
A questo punto però bisogna anche sottolineare come vi sia il rischio di ulteriori infiltrazioni terroristiche nella zona. AQMI e El Mourabitoune consideravano il sud della Libia (il triangolo Sebha – Ubari – Murzuq) come una zona di riparo, soprattutto il gruppo di Mokhtar Belmokhtar. Con l’indebolimento di AQMI in Algeria e la creazione di JNIM nel Sahel (che ha incorporato anche il gruppo di Belmokhtar) non è detto che aumenti l’aiuto proprio di JNIM verso i gruppi che sostiene in Libia passando per il Sud. In effetti, sia le SDB che i gruppi diretti da Ansar al Sharia (Il Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengasi e dei Mujahideen di Derna) sono stati creati e/o hanno legami molto importanti con Al Qaeda e hanno bisogno di aiuto in questo momento. Bisognerà capire se l’aiuto arriverà dal morente AQMI o dal neonato JNIM che sta facendo faville nel nord del Mali e in tutta la sotto regione. Ad ogni modo l’apertura della frontiera, controllata o meno che sia, rappresenta un rischio di ulteriore destabilizzazione del sud del paese.
È continuata la diatriba a seguito delle dichiarazioni del ministro degli Affari esteri del GNA, Mohammed Siyala. Quest’ultimo aveva dichiarato che Haftar era il comandante in capo delle forze armate libiche. Questo ha fatto infuriare le milizie (il Consiglio delle Brigate Rivoluzionarie di Tripoli dei vari Gneiwa, Tagouri, Kara ecc …) che di fondo permettono al GNA di esistere a Tripoli. Altra benzina sul fuoco è stata gettata dall’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, che ha dichiarato alla televisione egiziana che è d’accordo con Haftar della necessità di disarmare le milizie nella parte occidentale della Libia.
Il Supremo consiglio di stato ha rigettato le esternazioni del Ministro Siyala e ha espresso il proprio malcontento riguardo a Kobler che ha ignorato i meccanismi dell’accordo politico. Nei giorni scorsi la Sicurezza del Ministero degli Affari esteri e diplomatica, ovvero una milizia collegata al Consiglio delle Brigate Rivoluzionarie di Tripoli, ha dichiarato di aver messo al sicuro il ministero contro sciopero generale e ha sospeso i lavori della struttura. In realtà la mossa era stata anticipata di Siyala che aveva ordinato ai lavoratori di mettersi in vacanza fino a domenica.
Non solo Tripoli, ma anche Misurata si è scagliata contro Siyala. Il Consiglio degli anziani di Misurata ha deplorato le dichiarazioni di Siyala. Secondo la Brigata Nawasi, la più attiva riguardo alla questione, il ministro degli Affari esteri del GNA deve dimettersi. Il Consiglio presidenziale si è limitato ad ammonirlo inizialmente. Successivamente, diversi membri del Consiglio presidenziale lo hanno stuzzicato, il primo è stato Mohammed Ammari che lo ha messo in guardia dall’esprimere idee controverse e espressioni delle sue visioni personali. Secondo un fonti social media locali, la dichiarazione del Consiglio presidenziale è di fatto una richiesta di perdono per il ministro Siyala a Taghouri che ha chiuso il ministero. Questo purtroppo dimostra ulteriormente quanto il GNA e il suo consiglio presidenziale siano schiavi delle milizie per la loro sopravvivenza nella capitale.
Si apprende che il ministro della Difesa del GNA, Mahdi Al Barghouti, ha pagato un riscatto di 30 milioni di dollari alle milizie di Nalut in cambio della liberazione di Ibrahim Jadran. Tutti i negozi per il contrabbando di carburante sono stati dati alle fiamme a Abi Kamish, vicino al posto di confine con la Tunisia a Ras Jadir. Non è ancora chiaro se a dare alle fiamme la struttura sia stata la concorrenza o uomini del Comitato per la gestione della crisi del gas e del petrolio.
Tornando alla capitale, il bilancio degli ultimi scontri a Tripoli tra giovani della vecchia città e brigata Al Nawasi affiliata al GNA è stato di un civile morto e tre feriti. Da Zintan arriva l’allerta sicurezza del Battaglione Abu Bakr al Siddiq, in carica della protezione del prigioniero Saif al Islam. Secondo il Battaglione, uomini armati avrebbero provato ad entrare nella prigione per uccidere il figlio dell’ex Rais. Si mormora da tempo che all’interno del Consiglio militare di Zintan, e in particolare nel Battaglione, vi sarebbe uno scontro interno sulla fine che Saif al Islam deve fare, ovvero tra chi vorrebbe fosse posta nuovamente la condanna a morte (o la consegna alla corte penale internazionale) e chi vorrebbe mantenere l’attuale status quo di “libertà all’interno della prigione”.
È stato messo in rete il video di una sorta di intervista di un’emittente televisiva di Misurata a quello che è stato il vice emiro di Daesh catturato a Sirte. Quest’ultimo ha affermato che l’organizzazione è stata supportata dal Consiglio Militare di Misurata a Sirte. Se l’informazione può destare stupore visti i morti che poi Misurata ha dovuto subire per liberare Sirte proprio da Daesh, si ricorda che il legame tra Misurata e Daesh non è nuovo. Già ai tempi dell’offensiva per la liberazione della città erano state scoperte delle triangolazioni tra Misurata, il Consiglio della Shura di Bengasi che Misurata supporta nonostante sia un gruppo terroristico e Daesh a Bengasi e a Sirte. Account social media locali sottolineano che in un video del 2014 elementi del Consiglio della Shura di Bengasi hanno prestato giuramento al Califfo quando sono entrati in un campo di forze speciali della città. Non vi è stata però ancora nessuna accusa o sommossa all’interno della città. Certo è che questo rappresenta la conferma che Misurata arma gruppi terroristici e soprattutto che ha dato supporto ad un gruppo che poi ha dovuto eliminare versando molto sangue dei propri figli.
Peraltro, il rischio è che se non riprende totalmente in mano la città e i dintorni, Daesh rischia di tornare.
Nel frattempo, continua l’operazione del LNA per liberare Bengasi. Postate altre foto da uomini rana del LNA dal porto di Bengasi che hanno liberato e ripulito.
Redazione
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