LIBANO. Tensioni nei campi profughi di Ain al-Hilweh e Zahle

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In Libano, la questione degli sfollati e dei campi profughi ha radici profonde. La loro presenza risale almeno al 1948, quando la Commissione Internazionale della Croce Rossa ha fondato il campo profughi di Ain al-Hilweh, situato nel distretto di Sidon, nel governatorato del Libano del Sud. Da allora, in base ai dati rilasciati dall’UNRWA (United Nation Relief and Work Agency for Palestine in Middle East), si contano dodici campi profughi nel Paese. Di questi, Ain al-Hilweh è il più esteso, con una popolazione di profughi palestinesi che supera i 70 mila. Dal 2011, la guerra civile in Siria ha generato importanti flussi migratori diretti verso il Libano. La guerra civile ha provocato sia un significativo aumento dei profughi presenti ad Ain al-Hilweh, che ad oggi conta una popolazione complessiva di oltre 120 mila profughi, sia alla creazione di nuovi campi, tra cui quello di Zahle nel governatorato di Bekaa.

L’elevata presenza di profughi palestinesi e siriani in Libano e, in particolare l’’incontrollato flusso migratorio di cittadini provenienti dalla Siria, pongono al governo libanese una serie di questioni stringenti di diversa natura. Da una parte, negli ultimi giorni il Ministro degli Interni del governo provvisorio del Libano, Bassan Mawlawi, ha criticato l’approccio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, affermando che in particolare la questione dei profughi siriani sta minacciando l’identità e la composizione demografica del Paese. D’altra parte, il quotidiano Lebanon News ha sollevato la questione economica riportando che più di 900 mila profughi ricevono oltre 270 milioni di dollari al mese grazie alle politiche di sussidio.

Tuttavia, una serie di eventi recenti dimostra che altre possano essere le problematiche più rilevanti derivanti da questa situazione. Infatti, questa settimana la Direzione Generale della Sicurezza dello Stato ha riportato che una pattuglia di sicurezza ha effettuato una serie di perquisizioni nel campo profughi di Zahle, dedicato ai profughi siriani, rinvenendo numerose armi da guerra e da caccia, uniformi militari, telefoni cellulari e macchine fotografiche, che hanno portato all’arresto di due cittadini siriani. Dalle indagini svolte è trapelato che uno dei due arrestati avrebbe dichiarato di aver ottenuto questo materiale da Ibrahim el-Sakr, membro di alto rango delle Forze Libanesi (al-Quwwat al-Lubnaniyya), un partito politico a prevalenza cristiano-maronita, dotato di una propria milizia. Sebbene lo stesso Ibrahim el-Sakr abbia negato qualsiasi coinvolgimento, fonti della sicurezza hanno rivelato che questo fenomeno non sarebbe un caso isolato. Infatti, sempre questa settimana, fonti interne agli apparati di sicurezza libanesi hanno indicato che le informazioni a disposizione delle agenzie di intelligence segnalano un aumento nel numero di armi rinvenute durante le operazioni di perquisizione all’interno del campo, aggiungendo che le tipologie di armi rinvenute pongono seri dubbi sulla sicurezza interna.

Una simile situazione sembra coinvolgere anche il campo profughi di Ain al-Hilweh, al cui interno la sicurezza è storicamente gestita da membri di Fatah (ex Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese). Tra il 30 luglio e il 3 agosto 2023 si sono verificati scontri armati tra membri di Fatah e profughi appartenenti a gruppi militanti islamisti. Tali disordini sono scoppiati a seguito dell’uccisione da parte dei militanti islamisti di Abu Ashraf al-Armoushi, generale di Fatah, e hanno portato all’uccisione di undici persone, oltre che al ferimento di altre 40 e alla fuga dal campo di oltre duemila profughi. Gli scontri sono cessati il 3 agosto 2023 a seguito di incontri tra le fazioni palestinesi e islamiche in presenza di esponenti dell’Hamal Movement e di Hezbollah. Tuttavia, gli scontri sono ripresi l’8 settembre dopo che Fatah ha annunciato che le sue forze di sicurezza avrebbero effettuato raid interni al campo, alla ricerca degli assassini accusati dell’uccisione di Abu Ashraf al-Armoushi. Il 14 settembre, dopo giorni di scontri che hanno portato all’uccisione di dieci persone, è stata concordata una tregua a seguito di un incontro tenuto tra il Presidente del Parlamento, Nabih Berri, e alcuni leder di Fatah e Hamas. La fragilità di questi accordi appare evidente alla luce degli avvenimenti riportati questa settimana. Infatti, la decisione di schierare forze di sicurezza palestinesi di fronte alle scuole delle organizzazioni musulmane Gioventù Musulmana e Jund al-Sham e la mancata attuazione della clausola di estradizione per i responsabili dell’assassinio del generale di Fatah sono potenzialmente capaci di far riesplodere la tensione. Intanto, sempre questa settimana, il quotidiano Lebanon 24 ha riportato la notizia di uno scontro a fuoco e di un’esplosione avvenuta contro un sito delle forze di sicurezza del campo. Tuttavia, il quotidiano stesso ha precisato che non sembra esserci al momento una ripresa degli scontri.

I recenti avvenimenti che hanno coinvolto il campo di Ain al-Hilweh e quello di Zahle dimostrano che, al di là degli aspetti di natura economica e sociale, la questione della sicurezza risulta essere la più problematica. I due campi profughi vivono sicuramente situazioni differenti: da una parte, ad Ain al-Hilweh sono coinvolte fazioni palestinesi e islamiste, dall’altra a Zahle, sembrano essere principalmente coinvolte fazioni cristiano-maronite. Tuttavia, un aspetto comune a queste due situazioni sembra essere la presenza di attori esterni capaci di supportare ed influenzare le diverse fazioni. Questo fa sì che la sicurezza non sia semplicemente una questione interna ai campi profughi, ma che abbia importanti conseguenze anche all’esterno, tali da arrivare a coinvolgere i governatorati e l’intero Paese.

Pietro Zucchelli

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