6-0, 6-0, 6-0. ISIS batte l’Occidente

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ITALIA – Roma. 20/01/15. Lo Stato Islamico stravince nella sua guerra mediatica e nelle operazioni di infowar.

Gli ultimi ostaggi “famosi” dello Stato Islamico sono, ahinoi, un giornalista e l’Ad di una compagnia privata di sicurezza, che vengono mostrati nei giorni in cui Shinzo Abe, il numero uno del Sol Levante, si trova a Gerusalemme. Luogo non molto lontano dalla striscia di Gaza dove sempre in questi giorni ci sono manifestazioni pro ISIS contro le vignette francesi, dove le foto dei “martiri” francesi campeggiavano davanti all’Istituto di cultura francese di Gaza. Ma se chiedete alla sicurezza giapponese o a quella di iIsraele vi dirà che i fatti non sono collegati. Abe, nel frattempo, ha rinunciato al viaggio in Giordania e Egitto.
Quello cui stiamo assistendo in questi giorni è legato da un filo rosso che l’uomo della strada comincia a percepire ma che le istituzioni sembrano non vedere. Eppure non ci vuole un genio a capire che ISIS ha una comunicazione molto efficace, “high tech”, mirata e virale. Obama ha “confessato” la sua incapacità di bloccare questo flusso di notizie dal mondo ISIS. La sicurezza ellenica ha detto che i fatti del Belgio e quelli della Grecia non erano collegati, e i colleghi belgi hanno confermato; così come i tragici fatti francesi non sono collegati a quelli che vedevano nelle stesse ore: una donna cecena farsi saltate in aria in bus a Istanbul, un attentato a Tripoli, Libano, in cui hanno perso la vita, nel quartiere alawita, 9 persone e in cui 50 sono rimaste ferite. Ma la politica occidentale e i servizi di sicurezza dei singoli paesi dicono che i fatti non sono collegati. Il team AGC studia ISIS da un anno e per noi i fatti sono collegati. Cerchiamo di illustrare, prima teoricamente e poi con documenti e fatti alla mano, il perché.

La logica è banale e aberrante allo stesso tempo. ISIS si comporta esattamente come fa un produttore di serial televisivi. Prendete qualsiasi telefilm: Bones, NCIS, CSI, etc. Il produttore con un copione in mano, che contiene il fulcro della storia, va da un regista che seleziona degli attori. Per Bones la trama è: antropologo medico forense, con storia particolare, che risolve casi impossibili insieme ad agente FBI; al margine di questo cast vi sono infiniti numeri di comprimari e di comparse che probabilmente non incontrano mai gli attori principali. Servono solo per rinforzare e dare vigore alle puntate. Molto probabilmente per registrare un serial tv si gireranno più scene in un giorno e più episodi in diversi ambienti ma sotto uno stesso tetto.
ISIS fa la stessa cosa: un produttore, che nessuno identifica, ha trovato un regista, Abu Bakr Al- Baghdadi, che ha selezionato un cast di “primi attori”, le Star di ISIS: i comandati dello Stato Islamico. Il regista ha aiutio-regista che grazie a case di produzione collegate e minori registrano le puntate del serial TV che potremmo chiamare: “Lo Stato Islamico. Come destabilizzare Medio Oriente e Europa, per un nuovo ordine mondiale”. La programmazione televisiva sugli schermi, occidentali e non solo, è iniziata il 29 giugno, presa di Mosul, ma le riprese sono cominciate molto prima e il casting attori pure.
Adesso immaginate gli atti terroristici come parti di puntate che vanno assemblate in questo strano e tragico serial terroristico che vediamo ogni giorno. Non c’è bisogno dunque che i diversi cast si conoscano, ma fanno tutti parte dello stesso serial TV.
Ed ora la prova documentaria: il baby killer di ISIS che “soddisfatto” alzava il dito (per indicare che c’è un unico Dio) dopo aver giustiziato i due agenti del FSB, è comparso sui nostri schermi nel mese di novembre, tra i bimbi kazaki che si addestravano per diventare combattenti. Intervistando più pediatri e confrontando le immagini del bambino in fase di addestramento, si arriva a scoprire che nel primo video poteva avere tra gli 8 e i 10 anni, mentre nel secondo, quando è ormai un killer, tra i 12 e i 14.
Non solo, il giovane “mentore” del baby killer è morto il giorno dopo l’apparizione del video, titolato “Uncovering an Enemy Within”, in Libia nel quartiere di Laithi, Bengasi. Il video dell’esecuzione, inoltre, è stato girato presumibilmente a Fallujah, stanti le uniformi indossate dai due agenti giustiziati, non ora ma qualche mese fa. ISIS dunque programma nei dettagli le sue operazioni. Le filma e le lavora e quando sono portate a termine, o quando la contingenza ne richiede la messa in onda, le mostra al pubblico per diversi scopi: propaganda, arruolamento; controinformazione.
Le case di produzione dello Stato Islamico sono più di 30, una sorta di TG regionali che mandano on line notiziari e video dal mondo, almeno 4 servizi giornalieri, che vengono anche commentati, e i cui testi vengono salvati in formato pdf per gli archivi. Soffermandoci brevemente sugli archivi: Al-Hayat e Al-Furquan hanno data-base suddivisi per categoria; addirittura al-Furquan ha archivi suddivisi in prima e dopo l’arrivo di ISIS: l’anno che fa da spartiacque è il 2006.
Altro dato, che non abbiamo ancora letto nella stampa italiana: quando ISIS arriva e conquista un quartiere, prendiamo Laithi: chiude gli accessi al quartiere con posti di blocco, nomina il governatore, il capo ufficio stampa e distribuisce password e username per gli accessi a internet. Crea gli infopoint. Perché? Perché così le case di produzione, hanno materiale da lavorare immediatamente. In Libia sono nate tre case regionali di produzione: Cirenaica, Tripolitania, Fezzan che per ISIS corrispondono anche alla “nuova” suddivisione dei territori che hanno aderito allo Stato Islamico. Un discorso a parte meriterebbero i canali podcast, radio. Presenti soprattutto in africa settentrionale: Algeria, Tunisia, Marocco, Libia, Egitto. Per non parlare poi della lunga serie di video tutorial che insegnano di tutto: da come fare la bandiera dello Stato Islamico a come costruire ordigni esplosivi, al montaggio e smontaggio armi, alla costruzione di siti internet. 
Non possiamo continuare a far finta di non vedere una cosa che è così lampante: chi sta dietro a ISIS nel settore della comunicazione e della infowar ha competenze tecniche di alto livello, possiede uno stile occidentale, tipicamente angloamericano o nordeuropeo e soprattutto gestisce un palinsesto, un calendario di programmazione, dettagliato; non sappiamo fino a quando come dimostra il caso di John Cantlie, ora probabile nuovo direttore della televisione di Stato dello Stato Islamico.
Torniamo ora ai fatti di Parigi. Il primo video in francese della “Major” dello Stato Islamico, al-Hayat Media Center, è comparso a gennaio 2014. Un giovane ragazzo francese, con la kefiah, spiegava quanto era bello partecipare alla nascita dello Stato Islamico e invitava i giovani francesi a raggiungerlo; il secondo video è comparso a marzo e poi ripostato a giugno 2014 e vi comparivano una serie di giovani francesi (questa volta di diversa origine: algerina, marocchina, caucasica) che spiegano sempre in francese che bisognava andare nello “Sham” per diventare combattenti. Tutto questo, mentre bruciano i loro passaporti della Repubblica francese. In estate un gruppo di giovani mujaheddin europei, tedeschi, inglesi e francesi, invitavano i connazionali ad agire in nome dello Stato Islamico. A ottobre è arrivato il video: “What are you waiting for?” che chiedeva caldamente a tutti i giovani musulmani francesi di compiere attentati in Francia: dalla sparatoria, all’omicidio, all’incendio; l’importante era terrorizzare i “kuffar”, ovvero noi. Subito dopo l’attentato di Parigi, oltre a quello di Coulibaly, compare un altro video girato direttamente nello Stato Islamico, probabilmente dalla Siria, nel video infatti nevica come accadeva in quei giorni in Siria. In questo altri giovani francofoni e francesi, di origine diversa, non solo ringraziavano i “martiri fratelli francesi” ma chiedevano di continuare a compiere attentati chiedendo aiuto ai fratelli del Belgio e della Germania. Ventiquattro ore dopo il video, avvengono gli arresti in Belgio. Ma di certo, come si continua a dire, i fatti non sono collegati tra di loro.