IRAQ. La corruzione è oramai diventata una diffusa cultura pubblica

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Secondo i media iracheni, una delle più grandi sfide che dovrà affrontare il nuovo governo di Baghdad è la dilagante corruzione in tutte le istituzioni dello stato e la proliferazione delle armi nelle mani delle milizie e dei clan che controllano le strade. Di questo parere sono molti politici come l’ex ministro per le Comunicazioni, Mohammed Allawi, secondo il quale la corruzione è divenuta in Iraq una “cultura pubblica” per i politici e si sia diffusa in tutte le istituzioni dello stato. 

Due esempi corroborano la presenza di una “cultura della corruzione” difficile da sradicare dalla politica irachena: la scoperta di due casi di corruzione con al centro l’ex ministro del Commercio, Malas Abdul Karim, e l’ex direttore amministrativo dello stesso Ministero che hanno causato allo stato un danno economico di circa 14 milioni di dollari. A tale notizia si aggiunge il rilascio dell’ex ministro del Commercio Abdul al Falah al Sudani. La corte federale di Rusafa ha confermato l’inclusione dell’ex ministro per il Commercio, condannato per corruzione, nella legge di amnistia che ne ha determinato l’assoluzione. La decisione di applicare l’amnistia sarebbe venuta dopo che il ministero del Commercio ha rinunciato al suo diritto di citare in giudizio al-Sudani, che, ministro del Commercio tra il 2006 e il 2009, era stato condannato in absentia a cauda del danno provocato al patrimonio pubblico.  

Molti media iracheni fanno notare il lento disgregamento della coalizione della “costruzione”, costituitasi due mesi fa tra le forze di Nouri al Maliki, quelle di Hadi al Amiri e l’asse nazionale sunnita, a causa di differenti vedute politiche e, ancora una volta, ad accuse di corruzione lanciate, dal leader sciita Moqtada al Sadr contro l’Asse nazionale.   

Il ministero iracheno per gli Sfollati ha dichiarato che al momento il numero degli sfollati interni in Iraq si aggira sui 500.000. Di questi, ai residenti dell’area di Jarf al Sakhr nella Babilonia e quelli dell’area “cinese” del Salahuddin sarebbe stato vietato il ritorno nelle loro aree a causa di differenze politiche. Si è parlato sui social anche dei palestinesi residenti in Iraq. Nonostante il numero dei palestinesi sia sceso a poche migliaia dall’invasione americana dell’Iraq nel 2003, si denuncia come i palestinesi in Iraq vivano in tragiche circostanze, trattati come stranieri. 

Redazione