Le elezioni generali del 2 ottobre hanno accelerato le tensioni in Bosnia Erzegovina. Tensioni che più di tre settimane dopo sono culminate nelle proteste a Banja Luka, il capoluogo della Republika Srpksa, contro la Commissione elettorale centrale. A un mese di distanza dal voto, infatti, ancora non era chiaro l’esito delle urne per la guida dell’entità federata serba di Bosnia Erzegovina. All’indomani delle elezioni i partiti di opposizione serbo-bosniaci avevano preteso un riconteggio delle schede, che davano come vincitore proprio Milorad Dodik, attualmente membro della presidenza tripartita del paese.
Dodik ha invitato i cittadini della Republika Srpska a manifestare contro la Commissione elettorale, fino all’esito del riconteggio che è arrivato il 27 ottobre, e che l’ha riconfermato come governatore dell’entità federata. Per Dodik sarà il terzo mandato come presidente della Republika Srpska, incarico che ha ricoperto ininterrottamente dal 2010 al 2018, quando è stato eletto a membro serbo della presidenza di Bosnia Erzegovina.
La sua avversaria, Jelena Trivić, aveva il sostegno dei partiti dell’opposizione locale. Non proponeva nessun passo indietro rispetto alle richieste di maggiore autonomia da parte di Banja Luka, ma portava avanti per lo più richieste di riforme contro la corruzione, indicando i socialdemocratici di Dodik come il partito responsabile della cattiva gestione dell’entità federata.
Da tempo Dodik porta avanti richieste di maggiore autonomia per la minoranza serba del paese, arrivando più volte a minacciare una secessione da Sarajevo. È ritornato a parlarne proprio questa settimana, suscitando l’ennesima reazione da parte dell’ambasciata Usa: «Non c’è nessun motivo di rispondere alle presunte irregolarità del voto con la retorica pericolosa e irresponsabile a cui abbiamo assistito durante le proteste di lunedì a Banja Luka. Né l’Accordo di Dayton, né la Costituzione attribuiscono alla Republika Srpska il potere di proclamarsi indipendente».
Carlo Comensoli