A fine aprile, Mosca è stata il centro dei negoziati di pace afghani, con incontro trilaterale sul processo di pace del 25 aprile, che ha riunito diplomatici provenienti da Russia, Stati Uniti e Cina. Le tre parti hanno raggiunto un accordo su otto punti, sostenendo «un processo di pace inclusivo di proprietà afghana» e chiedendo «un ritiro ordinato e responsabile delle truppe straniere dall’Afghanistan».
Questa dichiarazione implica fortemente che gli Stati Uniti e la coalizione Isaf lasceranno l’Afghanistan come parte di un accordo di pace, che probabilmente richiederebbe un impegno da parte dei Talebani per mantenere ISIS e al-Qaed fuori dal paese. Ciò sarebbe in linea con la preferenza del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il ritiro delle truppe statunitensi dall’area, riporta Asia Times. L’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad, capo della delegazione statunitense a Mosca, ha definito l’accordo come “una pietra miliare”.
Gli sviluppi di aprile seguono i due giorni di colloqui interafghani “Moscow Format” di febbraio che hanno riunito personalità di Kabul, tra cui l’ex presidente Hamid Karzai, personalità di spicco dell’Alleanza del Nord, come Atta Muhammad Nur, Yunus Qanooni e Ahmad Wali Massoud, nonché l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Hanif Atmar, per i colloqui con i pesi massimi talebani.
Il fatto che questo dialogo interno afghano di alto livello si sia tenuto a Mosca e non più a Doha, Qatar, come in passato, indica chiaramente quanto sia oggi importante l’Afghanistan per gli strateghi del Cremlino. Per secoli la Russia si è interessata a questo paese; agenti ed esercito zarista hanno impegnato il rivale impero britannico attraverso l’Asia centrale per gran parte del XIX e inizio del XX secolo in quello che fu definito “Il grande gioco”.
Tralasciando i fatti storici relativi all’impegno russo in area afgana all’inizio del XIX secolo, dopo una pausa di trent’anni, la Russia sta tornando dopo l’uscita delle truppe sovietiche dall’Afganistan nel 1989.
L’attuale coinvolgimento della Russia in Afghanistan comprende attività commerciali e forti investimenti, programmi culturali, sostegno finanziario e militare per il governo centrale. Anche gli aiuti militari e umanitari stanno affluendo: dal 2016 Mosca ha fornito a Kabul decine di migliaia di kalashnikov e milioni di munizioni. Il Cremlino ha anche deciso di cancellare il 90% del debito dell’Afghanistan, per un valore di 10 miliardi di dollari.
Le aziende russe, comprese le imprese statali, hanno investito, e ottenuto una serie di contratti. Nel 2017, Mosca ha aperto un nuovo centro culturale russo a Kabul nello stesso luogo in cui fino agli anni Novanta c’era la Casa della Scienza e della Cultura sovietica.
La Russia non ha partecipato all’invasione guidata dagli Stati Uniti nel 2001, ma ha condiviso intelligence con Washington, è diventata un importante fornitore di armi per Kabul e ha permesso alla coalizione guidata dagli Stati Uniti di utilizzare il territorio russo per la logistica.
Difficilmente il presidente Vladimir Putin rischierebbe di inviare truppe, viste le disastrose esperienze degli anni Ottanta, ma la posizione di Mosca nella regione sarebbe certamente rafforzata da un previsto ritiro della Nato e della altre missioni. E a differenza di Washington, Mosca ha ottenuto ottimi risultati nei colloqui di pace, a differenza dei falliti colloqui del Qatar sponsorizzati dagli Stati Uniti. E ora sembra che, anche se i Talebani prevalessero nel paese, il Cremlino potrebbe probabilmente lavorarci, dati i contatti che ha creato, confermando di essere ancora una protagonista del Nuovo Grande Gioco afgano.
Antonio Albanese