ISIS: cyberjihad africana

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NIGERIA – Abuja. 28/01/15. AQIM, Boko Haram, Shebab somali utilizzano la cyberjihad. A quanto pare i jihadisti africani sono andati a scuola da ISIS ed ora mettono in pratica la loro tecnica: fare affidamento su Internet per la propaganda e il reclutamento.

Fino al 23 settembre 2014, nessuno al di fuori di una manciata di specialisti, aveva sentito parlare di Jund al-Khilafa. Il giorno successivo, il gruppo terroristico algerino è finito sulle prime pagine dei giornali dopo la trasmissione di un video in cui veniva mostrata la decapitazione di Hervé Gourdel. Intitolato “Messaggio di sangue per il governo francese”. Il video mostrava l’ostaggio, il 55enne francese, in ginocchio con alle spalle quattro uomini armati di Kalashnikov. In 12 ore con sottotitoli in 48 lingue, il video, ha fatto il giro di 170 Paesi. A quanto pare tra i terroristi jihadisti, ricordiamo che Boko Haram ha fatto giuramento di fedeltà a ISIS lo scorso agosto, si è diffusa la conoscenza tecnologica con annessi e connessi. «I terroristi utilizzano spesso chip telefonici acquistati con identità false, acquistano anche smart phone e poi trasmettono tramite un’unica rete 3G», ha detto alla testata Jeune Afrique, Akram Kharief, algerino specialista reti jihadiste. «Possono anche farlo da un Internet café», ha aggiunto.
A questo dato va aggiunto il fatto che per i territori in cui sventola la bandiera ci sono gli internet point gratuiti. Dove arriva ISIS, vedi il Caso Libia con Derna, sono arrivati gli internet point. Nei video diffusi via web dei giovani combattenti distribuiscono da un furgone che fa da hub password e user per la connessione a Internet e invitano i giovani a mandare i loro filmati. Per quanto concerne il “format” invece, «vi sono dei video tutorial disponibili sul Web: così raggiungere in breve tempo milioni di utenti via Internet è molto facile» chiosa Kharief.
«Nel 2010, ci fu una flotta di 40 milioni di computer che approdarono in Nigeria», ha dichiarato alla testata Jeune Afrique, Nick Ridley, autore di un libro sul terrorismo in Africa orientale e occidentale. Abubakar Shekau, il leader di Boko Haram ha utilizzato internet per promuovere la sua causa e sfidare direttamente il presidente Goodluck Jonathan. «Il Video in cui Boko Haram rivendicava il rapimento di 200 studentesse delle scuole superiori a Chibok era stato facile da realizzare (rapire le ragazze) e allo stesso tempo efficace da un punto di vista della comunicazione, ha commosso il mondo». Ha continuato Ridley
Boko Haram è un po’ più “discreto”: si limita a reclutare forzatamente i giovani “nella vita reale” , soprattutto nel nord del Camerun. Come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), mentre i combattenti dello Stato Islamico sono quelli che più hanno internazionalizzato la loro strategia, creando un vero e proprio ministero della propaganda, Al-Hayat Media Center. Il loro reclutamento è tutt’altro che casuale. Come nel settore della pubblicità i loro messaggio varia a seconda del pubblico. «Hanno affinato le loro tecniche, in modo che possano avere successo ad offrire un’offerta personalizzata», a dirlo è il rapporto del Centro francese per la prevenzione contro le aberrazioni settarie in materia di Islam. Tra le “capacità” di Al-Hayat adattare la propaganda al profilo di giovani da raggiungere: «può essere altruista (quando si parla di quelli che sognano di partecipare a missioni umanitarie), incentrato sulla onnipotenza (tramite l’immagine del “cavaliere eroico” e videogiochi, per il ragazzo più “duro”) o la ricerca di un leader (“portatore d’acqua” per i valori più bassi)». Si legge ancora nel rapporto».Si legge ancora nel rapporto.
«In Francia, circa il 90% dei candidati sarà reclutato per la jihad attraverso i social network e forum. Questa percentuale supera il 50% in Algeria». A dirlo è Lotfi Ben Jeddou, tunisino ministro dell’Interno secondo cui Internet è il bacino di reclutamento principale dei circa 3.000 combattenti impegnati in Siria. «Il giovane a cui mirano è istruito. La maggioranza di quelli reclutati sta finendo gli studi universitari in ingegneria o economia e commercio e in particolare nel settore IT», ha dichiarato Abdellatif Hannachi, uno studioso tunisino reti jihadiste. AQIM Shebab e molto attivo su Twitter. Nel mese di luglio 2014, Tunisi ha annunciato di aver creato «una cellula di agenti per la lotta contro le minacce terroristiche sul Web». Le autorità hanno inoltre adottato misure per chiudere questi siti indesiderati. «Ma per una piattaforma distrutta, nuove nascono! È complicato per la Tunisia, data la debolezza delle sue capacità tecniche e le risorse finanziarie», sconfiggere i jihadisti cibernetici ha detto Hannachi.
Tutti gli occhi sono ora puntati sui giganti di Internet, social network o host. Ma mentre tutti gli operatori hanno recentemente rafforzato la loro censura politica, i jihadisti hanno già trovato una soluzione. Pubblicando i loro video su piattaforme secondarie, quali Archive, VidMe o meno attenti su YouTube, che permettono ai loro fan di copiare “il video” e poi condividerlo nelle piattaforme più note come quelle statunitensi. La rimozione dell’intera catena rientra nel puzzle ed è sempre più difficile da ricostruire.
Gli Shebab somali per esempio durante l’attacco al Westgate Nairobi nel settembre 2013 nonostante la chiusura di un loro account riuscirono a pubblicare e rivendicare l’attacco da altri account twitter. A ogni chiusura di account, Shebab è resuscitato con un nuovo pseudonimo.
Come se non bastasse a questi jihadisti cibernetica vanno aggiunti gli hacker di professione che vedono nel continente africano un bacino di “clienti inenarrabili” capaci anche di destabilizzare i governi pur di fare soldi. Se Boko Haram o AQIM non hanno il tempo né le risorse tecniche e competenze per attaccare uno stato lo possono fare, dunque, dietro compenso gli hacker in cambio di compenso adeguato. Ne sa qualcosa il Marocco che mentre si prepara a lanciare “Digital Marocco 2020” deve fare i conti con violazioni alle caselle mail di politici. È successo a Salaheddine Mezouar, Ministro degli Affari Esteri: un hacker, pseudonimo di Chris Coleman, ha manipolato la sua posta elettronica per un po’ di tempo.
Alcuni paesi hanno già adottato misure di protezione, come la Costa d’Avorio, Nigeria, Kenya e Sud Africa.
Nel mese di settembre 2013 Microsoft ha avvertito che il Marocco è stato 3,5 volte più suscettibile di essere colpito da malware rispetto alla media globale. All’inizio del 2014, Kaspersky Lab ha rivelato che il regno aveva subito 384 attacchi di Careto virus, in sette anni. Alla testa delle sue vittime, il governo e le missioni diplomatiche. «L’infezione da Careto può essere catastrofica, ha assicurato una società di stampa di sicurezza informatica. Intercetta tutti i canali di comunicazione e raccoglie le informazioni più essenziali dal computer delle sue vittime».