MYANMAR. Sul Rakhine, Naypyidaw bacchetta Kuala Lumpur

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di Maddalena Ingroia MYANMAR – Naypyidaw 24/01/2017. Il Myanmar ha definito deplorevole la richiesta della Malesia, fatta la scorsa settimana, di un incontro ad hoc dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, in cui si esortasse Naypyidaw a proteggere la minoranza musulmana Rohingya. L’Oic aveva espresso grave preoccupazione per la perdita di vite innocenti e lo sfollamento di decine di migliaia di Rohingya a causa della violenza che infuria nel Rakhine, Myanmar nord occidentale, teatro di una massiccia operazione militare da ottobre.

Attivisti e organizzazioni per i diritti umani hanno accusato l’esercito birmano di commettere numerosi abusi contro la popolazione civile Rohingya, accuse che sono state negate dalle autorità del Myanmar. Il primo ministro malese Najib Razak ha esortato il Myanmar a porre fine alla discriminazione e ha invitato i paesi islamici ad agire durante il discorso inaugurale della riunione che ha avuto luogo a Kuala Lumpur.

In una dichiarazione a Channel News Asia, il governo del Myanmar ha rinfacciato al governo vicino e membro anch’esso dell’Asean di aver violato le regole dell’organizzazione, che prevedono la non ingerenza negli affari interni. Najib, che ha annunciato un fondo di sostegno durante il recente incontro Oic è stato criticato per il probabile utilizzo della causa Rohingya come cortina di fumo per coprire lo scandalo miliardario che lo vede implicato.

Più di un milione di Rohingya vivono nel Rakhine, dove hanno subito da lungo tempo discriminazioni e dove nel 2012 è esplosa la violenza che ha fatto 160 morti accertati; da allora circa 120mila Rohingya sono confinati letteralmente in 67 campi.

L’attuale operazione militare è stata lanciata come rappresaglia per l’attacco armato contro tre posti di frontiera il 9 ottobre 2016 dai ribelli della minoranza musulmana, e che ha costretto circa 65mila Rohingya a fuggire in Bangladesh, secondo le Nazioni Unite.

Il governo del Myanmar ha negato le accuse e ha sostenuto che le azioni delle forze di sicurezza sono state eseguite in conformità con la legge, ma continuano a bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari da cui dipendono circa 150mila persone.