MYANMAR. Facebook cancella i nazionalisti buddisti

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I nazionalisti buddisti del Myanmar hanno lanciato una campagna contro Facebook, accusando il gigante dei social media di agire contro di loro, incolpandoli di utilizzare la piattaforma per diffondere discorsi di odio e incitare alla violenza. 

Facebook ha confermato, riporta Asia Times, che la società statunitense ha designato il monaco buddista antimusulmano U Wirathu come “figura di odio” e la setta buddista radicale Ma Ba Tha, da lui guidata, come “organizzazione di odio”. Ad entrambi è stato recentemente vietato di utilizzare la piattaforma dei social media. Questo fatto sta già suscitando scalpore tra i sostenitori della libertà di parola. U Wirathu, già definito dalla rivista Time come il volto del “terrorismo buddista”, ha già detto che non sarà messo a tacere dal divieto di Facebook: il monaco ha recentemente creato il suo sito web, wirathu.com, e la sua stazione radio internet per continuare a diffondere le sue prediche e i suoi pronunciamenti.

La popolarità di Facebook ha subito un duro colpo per la percezione di non essere riuscito a contrastare la diffusione di incitamenti all’odio sulla piattaforma, in particolare in relazione all’epurazione della minoranza rohingya dallo Stato del Rakhine.

Oggi in Myanmar si registra un’adesione popolare allarmante, in varia misura, alla teoria della cospirazione secondo cui l’Occidente sta cercando di minare il governo del paese e di promuovere un’agenda filo-musulmana agitando a favore dei diritti umani e ignorando le atrocità commesse dai ribelli rohingya.

La teoria, ampiamente accettata, ma comunque contorta, afferma che è opera di un’elaborata cabina di regia, un triumvirato composto dalle Nazioni Unite, dall’Organizzazione per la Cooperazione Islamica e dal miliardario George Soros.

In questo clima, senza perseguire una maggiore trasparenza nella repressione dell’incitamento all’odio da parte di tutti i partiti, Facebook corre il rischio di essere visto come uno strumento straniero che mette a tacere le voci “patriottiche”, oltre ad esacerbare un complesso di persecuzioni nazionaliste già in forte crescita.

Graziella Giangiulio