Vietnam, prolifera la tratta di esseri umani

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VIETNAM – Hanoi. 28/08/13. Lo scorso anno tre ragazzi adolescenti sono saltati fuori dalla finestra a Ho Chi Minh City, hanno corso più che potevano per cercare aiuto e sfuggire alla schiavitù del lavoro minorile. A raccontarlo è uno di loro, che non vuole rivelare il suo vero nome, della minoranza etnica Khmu, cresciuto in un piccolo villaggio a Dien Bien, una zona montuosa nel Vietnam nord-occidentale in una delle province più povere del paese e confinante con la Cina.

Quando aveva sedici anni aveva un lavoro nel suo villaggio, quello di fare mattoni di carbone, poi un giorno una donna gli si avvicinò offrendogli formazione professionale; di fatto, lui insieme ad altri undici bambini, è stato preso e messo in un pullman diretto a Ho Chi Minh City per fare vestiti per una piccola fabbrica di abbigliamento, senza alcun salario. Si iniziava il lavoro alle sei del mattino e si finiva a mezzanotte e quando si sbagliava arrivavano le botte, racconta il ragazzo.

Sono più di 230 i bambini vittime della tratta che la Fondazione per i bambini Blue Dragon ha salvato dal 2005. La fondazione aiuta i bambini costretti in una varietà di posti di lavoro, dall’accattonaggio alla prostituzione, ma lo scorso anno poco più di 57 bambini circa sono stati prelevati dalle fabbriche di abbigliamento di Ho Chi Minh City e messi in salvo.

Il legale di Blue Dragon racconta che l’anno scorso la fondazione ha fatto un’irruzione in una fabbrica, dove 14 persone dormivano in una stanza strettissima con i macchinari e avevano la possibilità di andare in bagno per un totale di otto minuti al giorno, compresi quelli per lavarsi. Pare che i trafficanti prendano di mira le zone più remote, come la provincia di Dien, perché lì le comunità conoscono poco i rischi del traffico di esseri umani e non si rendono conto quando qualcuno si avvicina per proporre la formazione professionale che si tratta di sfruttamento del lavoro.

La lotta contro la tratta esterna è da tempo all’ordine del giorno del governo; il Vietnam è stato anche elogiato per l’aumento del numero di procedimenti giudiziari che coinvolgono i trafficanti di uomini e bambini. Secondo dati ufficiali, un totale di 7000 persone dal 2005, di cui l’80 per cento donne e bambini, sono stati vittime del traffico, a livello nazionale e internazionale.

I bambini del Paese sono prelevati per lavorare in Cina, nel sud est asiatico e in Europa. Inoltre, la politica del figlio unico in Cina ha portato anche a una domanda di neonati di sesso maschile, che in parte è soddisfatta da madri vietnamita che vendono i loro figli, mentre in alcuni casi sono vendute le stesse donne agli uomini cinesi, che poi hanno dei figli. Molti giovani e adulti sono anche trafficati nel Regno Unito per lavorare nelle industrie di cannabis.

Gran parte del problema sorge a causa dello status legale delle vittime di tratta, dice Florian Forster, capo dell’Ufficio internazionale delle migrazioni (OIM) in Vietnam. Non c’è una legge dettagliata che persegua il reato di tratta di esseri umani nel Paese; la nuova legge è entrata in vigore nel gennaio dello scorso anno ma non ci sono linee guida su come usarla. Nel frattempo, i trafficanti di manodopera nelle zone più interne non sono generalmente trattati come criminali, ma sono puniti con sanzioni amministrative, come la detenzione illegale o l’uso di armi, spiega Vu Thi Thu Phuong, coordinatore del Progetto Inter-Agency delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani (UNIAP).

In alcuni casi il problema non è avvertito così forte perché i lavoratori sono pagati, anche se la cifra è irrisoria, e molte delle persone si chiedono se davvero è così sbagliato che un ragazzo, un uomo o una donna, vadano a lavorare per aiutare la propria famiglia. Il problema è dunque prima di tutto culturale.