Venti di guerra in Mali

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MALI – Bamako. Tra preparazione dello strumento militare, sforzi della diplomazia e attività politica, la situazione nel nord del Mali ha vissuto nel corso del mese di novembre una serie di sconvolgimenti. In entrambi gli schieramenti (ribelli e fondamentalisti islamici al nord; coalizione ECOWAS e i vari Paesi a sostegno al sud) alcune posizioni sono cambiate. Di sicuro si delinea per l’alba del nuovo anno uno scontro senza precedenti nell’Africa sub sahariana e occidentale. Nei decenni scorsi l’Unione africana era intervenuta per ristabilire l’ordine in alcuni Paesi membri. Un’operazione come quella del Mali però non era mai stata ipotizzata ed è dovuta essenzialmente alle caratteristiche politiche interne al Paese e alla eterogeneità e alle criticità degli occupanti nel nord del Paese.

Nella regione dell’Azawad i due movimenti fondamentalisti islamici al Qaeda per il Magreb Islamico – Aqmi e Movimento per l’Unicità e la Jihad in Africa Occidentale hanno passato le ultime due settimane a rafforzare le proprie posizioni e a mandare segnali inequivocabili riguardo alla loro volontà di rimanere nel nord del Mali.

Il primo movimento ha continuato il proprio sforzo per l’applicazione del suo modus operandi nella parte occidentale dell’Azawad. Aqmi sta strutturando le proprie forze e l’arrivo all’inizio del mese di novembre di volontari sudanesi è servito a rinfoltire le proprie fila. Questo ha permesso anche ad Aqmi di continuare a dedicarsi all’attività che reputa, con il traffico di droga e di armi, politicamente ed economicamente più redditizia : i sequestri di persone. In effetti, Aqmi detiene sotto sequestro nove persone di nazionalità europea (di cui sei francesi) e ad aprile aveva sequestrato alcuni diplomatici algerini, poi liberati.

Peraltro, il 21 novembre scorso è stato rapito un francese di origine portoghese vicino alla località di Dienna, nella regione di Kayes, nell’ovest del Mali. Secondo le fonti locali, i rapitori sono probabilmente partiti dalla regione orientale della Mauritania, la no man’s land dove hanno base i due movimenti terroristici, per rapire il francese e infine fare ritorno proprio in Mauritania. Nonostante l’azione sia stata rivendicata dal portavoce del Mujao, Abdoul Hicham, la dinamica non ha permesso di chiarire se l’azione sia stata realizzata dal Mujao per poi consegnare il prigioniero ad Aqmi o se il prigioniero, come rivendicato, sia rimasto effettivamente in mano del Mujao. Di fatto però, il Ministro degli Affari Esteri francese, Laurent Fabius, ha indicato chiaramente che il sequestro era uno dei metodi utilizzati proprio dai due gruppi per effettuare una pressione politica nei confronti della Francia. Peraltro, il sequestro è anche un metodo per mandare un messaggio chiaro alle autorità francesi : il sequestro di un francese in Africa può diventare un’azione mirata in Francia.

Anche nella regione orientale dell’Azawad è avvenuto un rafforzamento del Mujao. L’arrivo nella regione di Gao di alcuni volontari sudanesi e saharawiti poco meno di un mese fa ha avuto un riscontro immediato. Il Mujao ha rafforzato le proprie posizioni ed è anche andato all’attacco. In effetti, se nell’ovest del Paese Aqmi deve fare i conti con la presenza del gruppo di Ansar Dine (i difensori della fede), dalla posizione politica altalenante, il Mujao doveva invece fare fronte ad un gruppo molto più strutturato e organizzato : il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad.

Il MNLA, movimento di etnie essenzialmente tuareg che ha difeso per decenni l’idea della creazione di uno Stato laico nell’Azawad, si è sempre definito contrario alla presenza di movimenti fondamentalisti al nord. Il MNLA aveva stretto con Ansar Dine un’alleanza per l’abbattimento della presenza delle forze maliane nel nord del Paese. Ciononostante, se l’unicità d’intenti e di azione con Ansar Dine era visto di buon occhio dal MNLA, la presenza invece di movimenti come Aqmi e Mujao non è mai piaciuto al movimento tuareg, soprattutto da un punto di vista strettamente politico. I dirigenti del MNLA hanno sempre avuto in mente una risoluzione politica del problema dopo il conflitto iniziale e avere dei movimenti islamici sul territorio di certo non avrebbe facilitato questa soluzione.

Per tentare di raddrizzare la situazione e ottenere successivamente il favore occidentale e africano in fase negoziale, il MNLA ha attaccato a metà novembre i membri del Mujao vicino alla località di Asongo. La volontà era proprio di bonificare dal fondamentalismo la regione di Gao e Asongo doveva rappresentare il primo passo. Malgrado gli sforzi e un apparente favore iniziale, il Mujao ha cacciato da Gao, da Asongo e, apparentemente, anche da Menaka (roccaforte tuareg) il movimento laico. La sconfitta del MNLA non sarebbe stata di poco conto, nonostante quanto indicato dai responsabili del movimento a Parigi. Di fatto, il MNLA starebbe cercando il sostegno della Francia e dell’Ecowas, in particolare tramite i propri membri a Parigi e a Ouagadougou, dove è in corso la negoziazione guidata da Blaise Campaoré.

In particolare, Bilal Ag Chérif, capo del MNLA, e altri tre membri del movimento sono stati ricevuti a Parigi dal Rappresentante francese per il Sahel, Jean-Félix Paganon. Questo incontro si inserisce pienamente nelle negoziazione attuate finora. Chérif avrebbe richiesto non solo un sostegno politico, ma anche militare, lasciando intravedere uno spazio di manovra per un aiuto alla missione dell’Ecowas, in particolare in termini di informazioni.

Le autorità maliane peraltro continuano una prassi politica che attua da diversi anni. In effetti, Bamako ha sempre usato le milizie Songhay, delle popolazioni nere del nord del Paese che vivono lungo le rive del fiume Niger, per limitare l’azione delle milizie tuareg. Negli ultimi mesi, le autorità maliane hanno rafforzato il proprio aiuto alle milizie dei Ganda Koy (“maestri della terra” in songhay) e dei Ganda Izo (“figli della terra” in songhay). È notizia recente che queste milizie si stiano addestrando per iniziare i combattimenti più a nord. Queste milizie sono sempre state negli ultimi anni una spina nel fianco per la ribellione nel nord del Paese.

A fianco del riarmo delle milizie locali, la missione dell’Ecowas sta continuando nella direzione dell’intervento militare. A metà novembre il piano d’azione della Forza Africana in Attesa comandata dal generale guineano Sékouba Konatéera stato discusso ad Abuja in Nigeria. Il piano sembra concretizzarsi ed è in attesa dell’avvallo delle Nazioni Unite. Dal canto suo, l’Unione Europea moltiplica le riunioni per identificare le soluzioni migliori in termini di sostegno logistico e di addestramento. In effetti, il ruolo logistico è fondamentale poiché i Paesi intervenenti non hanno di sicuro le capacità per gestire la logistica di un tale intervento. Ciononostante, la parte dell’addestramento è altrettanto fondamentale e gli stati europei forniranno esperienza e metodologie non solo e non tanto ai più di tre mila uomini della forza Ecowas, quanto piuttosto alle circa quattro mila unità delle forze armate maliane che dovranno affrontare i combattimenti.

La Nigeria contribuirà con il maggior numero di uomini, visto che le sue forze armate sono tra le più sviluppate, armate e addestrate dell’Africa occidentale. A queste si aggiungeranno in modo consistente le truppe senegalesi, del Togo e del vicino Niger. Il Burkina Faso e il Ghana dovrebbero anche dare un loro apporto, benché minimo. Queste truppe però non hanno mai combattuto in un ambito come il nord del Mali, al contrario dei loro oppositori che da anni sanno come muoversi e combattere nel deserto. Gran parte dell’addestramento sarà proprio quello di preparare le truppe africane a combattere nel deserto.

Un grande aiuto alle truppe dell’Ecowas potrebbe venire dal Ciad. Il Paese non è un membro dell’Ecowas, ma il suo presidente, Idriss Déby, ha affermato dopo un incontro con il generale Konaté che il suo Paese potrebbe contribuire alla missione e che le sue truppe sono a disposizione dell’Ecowas e dell’Unione Africana. L’obiettivo di Déby è sicuramente quello di evitare un effetto di spillover su tutto il Sahel della situazione nel nord del Mali, quindi anche nel suo Paese. L’apporto del Ciad non sarebbe di poco conto. In effetti, l’esercito ciadiano ha un ottimo addestramento per il tipo di combattimento che dovrà affrontare la forza africana ed è molto efficace per una guerra di mobilità. Sono circa trenta mila le unità con armamento moderno di cui dispone il Ciad. Sono unità che hanno anche una provata esperienza poiché negli ultimi anni hanno dovuto combattere in movimento alcuni gruppi dell’opposizione dalla frontiera con il Sudan alla capitale N’Djamena (regione sud occidentale del Ciad) passando per la caccia ai ribelli nel nord desertico del Paese.

Al contrario, due Paesi frontalieri del Mali non sembrano intenzionati a partecipare alle operazioni: la Mauritania e l’Algeria. I due Paesi hanno però ragioni diverse per il loro non coinvolgimento diretto. In effetti, la Mauritania deve far fronte a crescenti difficoltà politiche interne, nonostante il ritorno in Patria il 24 novembre scorso del presidente Mohamed Ould Abdel Aziz. Alle motivazioni prettamente nazionali, la Mauritania aggiunge il fatto che nelle regioni orientali del proprio territorio i gruppi fondamentalisti hanno alcune delle proprie basi. I dirigenti mauritani temono delle ripercussioni interne qualora aiutassero direttamente le forze maliane e la coalizione dell’Ecowas per la riconquista della regione nord del paese confinante. Ciononostante, il presidente mauritano ha indicato che avrebbe chiuso le proprie frontiere, ponendosi in linea con la sua politica di aiuto nella lotta al terrorismo.

Il discorso dell’Algeria è diverso. Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Amar Belani, ha indicato che il Paese “adotterà le misure necessarie per assicurare la difesa dei propri interessi e la protezione delle proprie frontiere” al momento dello scontro. Malgrado il fatto che molti esperti affermino che l’Algeria, a differenza della Mauritania, sia l’alleato essenziale per riconquistare il nord del Mali, Algeri ha sempre indicato di prediligere l’azione diplomatica all’intervento armato. L’Ecowas e l’Unione Europea sono convinti che l’esercito, i servizi di intelligence e l’esperienza algerina in ambito di anti terrorismo siano fondamentali per la riuscita dell’operazione. Nonostante ciò l’Algeria continua a chiamarsi fuori dai ranghi dell’intervento, in particolare perché teme delle ripercussioni interne poiché nel Paese esiste una forte presenza islamica, ma anche perché con il Mali condivide circa 1.400 chilometri di frontiera. Questa frontiera dovrà essere messa in sicurezza al fine di evitare lo spostamento dal nord del Mali al sud dell’Algeria dei membri dei gruppi islamici in fuga.

Dal canto loro, come accennato, i Paesi dell’Unione Europea e gli Stati Uniti continuano la preparazione dell’intervento, però con alcuni distinguo. L’Unione Europea, e in particolare la Francia, si rendono conto della necessità dell’intervento, data la vicinanza del conflitto con l’Europa e per la paura di attentati sul proprio territorio. Da qui all’inizio del 2013 saranno dai duecento ai quattrocento gli istruttori europei dispiegati in Mali. La missione europea sarà guidata dalla Francia, che conosce al meglio il dossier maliano. Alla missione parteciperanno anche addestratori inviati da Spagna, Germania, Svezia, Belgio, Regno Unito e Finlandia, mentre Polonia e Canada hanno dato la loro disponibilità qualora fosse necessario.

L’obiettivo della missione europea è di formare inizialmente almeno quattro battaglioni, ovvero 2.600 uomini, quindi successivamente altri due battaglioni. Secondo le indicazioni degli esperti militari, la forza africana in attesa e le truppe maliane non dovrebbero essere pronte ad intervenire prima del mese di aprile del 2013. Questa indicazione tiene conto sia delle tempistiche necessarie per la preparazione delle truppe che dovranno combattere, ma anche delle condizioni meteorologiche.

La missione dovrebbe avere un costo che si aggira tra i 200 e i 300 milioni di dollari all’anno che saranno presi in carico dalla comunità internazionale. Nonostante abbiano confermato la possibilità di un loro aiuto in ambito di supporto logistico, gli Stati Uniti sono ancora in attesa di capire come affrontare al meglio la situazione. In effetti, se l’Unione Europea si è detta assolutamente convinta del piano africano e del sostegno che fornirà, gli USA hanno indicato di giudicare inefficace il piano presentato dall’Ecowas. Secondo gli esperti di Washington, il piano risulterebbe inefficace perché le forze africane non avrebbe la formazione necessaria per far fronte ad una forza che al nord comprende dagli 800 ai 1.200 uomini.

Inoltre, secondo il capo del comando delle forze americane per l’Africa (Africom), il generale Carte Ham, il problema principale sarebbe quello di affidare all’esercito maliano un ruolo di primo piano nel conflitto. In effetti, le forze armate maliane soffrirebbero di una frammentazione interna critica dal colpo di Stato del mese di febbraio scorso. Le divergenze e i conflitti sono continui tra membri delle forze speciali, dei berretti rossi e il resto dell’esercito. Queste divergenze risultano non solo dalle lotte di potere interne all’esercito, ma anche dalla eterogenea composizione etnica delle forze armate maliane. Secondo il generale Ham, queste criticità non produrranno gli effetti sperati e l’intervento risulterà inefficace oltreché disastroso per il futuro del Paese.

Queste criticità legate all’intervento militare di fatto riportano di qualche mese l’operazione. Il lasso di tempo che si presenta darà sicuramente opportunità ai gruppi nel nord di rafforzare le loro posizioni. Allo stesso modo, la forza africana e le truppe maliane avranno la possibilità di prepararsi al meglio per il conflitto. L’Unione Europea e la comunità internazionale potranno dare il loro supporto all’operazione e continuare l’attività diplomatica, in particolare nei confronti dell’Algeria. Bisogna però sottolineare anche quanto si stia rafforzando il fronte interno al Mali.

In effetti, i 26 e 27 novembre scorsi si sono incontri a Bamako i leader spirituali del Mali. Riuniti attorno a Ousmane Chérif Haidara, predicatore riconosciuto e Presidente del raggruppamento dei leader spirituali del Mali, i responsabili musulmani del Paese hanno indicato la necessità di serrare i ranghi per il bene del Mali. Haidara è stato sostenuto dall’imam Mahmoud Dicko, presidente dell’Alto Consiglio Islamico del Mali e all’incontro erano presenti tutti i delegati del Paese dalla regione occidentale di Kayes a quella nord orientale di Kidal, passando per Bamako e Timbouctou. Questo sforzo delle autorità musulmane del Mali, dove l’Islam è maggioritario all’80%, deve essere l’indicatore più importante della volontà di ripulire il nord dai gruppi fondamentalisti e terroristici. Da questo dipende in gran parte il futuro e la stabilità politica ed economica del Sahel, quindi dell’Africa Occidentale.