VENEZUELA. La scacchiera su cui giocano Russia, Cina, Turchia, USA e Iran

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La Strano caso del Venezuela, così è intitolata la nuova puntata di Risiko, l’approfondimento radiofonico su temi di Difesa e Sicurezza che AGC Communication realizza assieme a Radio Sparlamento e al suo direttore Cristina Del Tutto.

È possibile ascoltare il podcast della puntata direttamente sul sito di Radio Sparlamento, cliccando qui.

Cosa sappiamo della situazione in Venezuela? Le notizie che trapelano parlano della peggiore crisi di sempre, politica, economica ed umanitaria. La realtà, però, a quanto pare è ben diversa da come l’informazione mainstream la propone all’opinione pubblica. La testimonianza diretta di uno dei protagonisti di questa stagione venezuelana, il prof. Luigi Valentinicoordinatore del partito venezuelano Vente Venezuela, svela ( per i non addetti ai lavori) una realtà molto diversa.

Anzitutto il prof. Luigi Valentini – intervistato ai microfoni di Radio Sparlamento da Antonio Albanese, direttore di AGC Communication – chiarisce che il Venezuela non sta attraversando una semplice crisi economica, bensì si tratta di un conflitto generato dalla elìte che detiene il potere da oltre venti anni. E non ci si può riferire ad esso come ad un sistema politico – spiega Fabio Valentini – poiché si tratta di un vero gruppo criminale che agisce a livello internazionale. In Venezuela ormai da tempo non esiste lo “stato di diritto”, da quando il controllo del territorio è stato consegnato a quelli che il leader di Vente Venezuela chiama “gruppi di potere stranieri”. E il riferimento è in primis ai governi della Turchia, dell’Iran, della Russia e della Cina, nonché a gruppi armati non ufficiali come le forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) e gli Hezbollah iraniani.

Questo interesse da parte di alcune potenze internazionali nei confronti del Venezuela si spiega in ragione dell’enorme ricchezza in termini di risorse naturali di cui il territorio venezuelano dispone, a partire dagli enormi giacimenti di petrolio, alle estese miniere di oro, a minerali pregiati come il torio e il coltan. A quanto pare, negli ultimi trent’anni gli unici a non aver beneficiato di questa ricchezza sono stati proprio i venezuelani, le cui condizioni di vita sono ormai divenute insostenibili.

Il prof. Valentini rivela numeri scioccanti: circa 5,5 milioni di venezuelani fuggiti dal paese negli ultimi 5 anni, all’incirca il 30% di tutta la popolazione venezuelana. Inoltre, i dati di una ricerca condotta dalle ultime quattro Università venezuelane rimaste indipendenti, rappresentano un quadro drammatico: il 96% dei venezuelani vive attualmente in povertà e di questi il 50% sotto la soglia di povertà estrema ( meno di 1 dollaro al giorno).

Il Covid-19 ha reso questa condizione ancora più drammatica. Le cifre fornire dal regime di Maduro – racconta il prof. Valentini – non corrispondono alla verità. Le uniche informazioni che trapelano arrivano dai medici, che denunciano 20 morti a settimana tra il personale medico a causa della mancanza di protezioni adeguate. Ad ogni modo, il problema principale sono i moltissimi ospedali in tutto il territorio che non dispongono di né di acqua, né di luce.

Come si spiega una povertà così diffusa ed estrema in un paese ricco di risorse? Il prof. Valentini invita a considerare il regime chavista come “modello criminale” che una certa rete internazionale sta cercando di esportare nel resto del mondo. Questa chiave di lettura spiega – secondo il leader di Vente Venezuela – i finanziamenti in denaro nei confronti di partiti e sistemi che sostengono il regime di Nicolàs Maduro, e punta il dito contro il partito di Podemos in Spagna e quello del M5S in Italia. In pratica, per avvantaggiare la rete internazionale di alleati, è stato sacrificato il popolo venezuelano. Le accuse devono essere dimostrate dalle autorità competenti, ad ogni modo è un fatto che le enormi ricchezze venezuelane non siano più nel paese. Dove siano transitate e per quali scopi sono servite, è tutto da scoprire. Non è un caso – fa notare il direttore Antonio Albanese – che l’amministrazione Trump definisca il Venezuela una “cleptocrazia”, proprio in ragione dell’attitudine del regime di Marudo a comprarsi amici e sostenitori.

Questa ricostruzione della situazione venezuelana in chiave cleptocratica è condivisa anche da Andrea Merlo, che parla di un paese sostanzialmente in mano ad una elite narco-dittatoriale e di un un territorio che, di fatto, è stato dato in “concessione” al crimine organizzato: gruppi stranieri e narco-terroristici, tra cui le Farc colombiane. A seguito dell’insediamento del governo di Ivan Duque, che di fatto ha rimesso in discussione l’accordo di pace di Caguan, dal 2018 la presenza dei guerriglieri colombiani in Venezuela è considerevolmente aumentata. Non a caso, i guerriglieri hanno occupato la parte amazzonica del Venezuela, quella dove si trovano l’oro e altre risorse naturali.

La struttura criminale del regime venezuelano – spiega Andrea Merlo – è messa in luce dalle preoccupazioni dei vertici del governo di Maduro a seguito dell’arresto di Alex Nain Saab Morán, considerato il “principe del riciclaggio internazionale” . Secondo Merlo, infatti, “ non esiste nessuna dittatura al mondo che si possa spaventare per l’arresto all’estero di un simile personaggio”. Questa circostanza avvalora quanto detto: il regime di Maduro è di natura criminale, gestito in gran parte dal crimine organizzato internazionale. Secondo le informazioni note, dal 2010 Saab avrebbe gestito i soldi di circa l’85% delle “triangolazioni” tra i vari paesi, avvenute soprattutto attraverso la fornitura di tonnellate di oro venezuelano, venduto senza rispettare le normative internazionali.

E proprio ad agosto – ci ricorda Antonio Albanese – sono trapelati i primi dati tragici sulle riserve d’oro del Venezuela. A quanto pare tra il 2015 e il 2017 la Banca centrale venezuelana ha utilizzato circa 350 tonnellate d’oro come garanzia di prestiti per ottenere liquidità finanziaria, portando le riserve auree del Venezuela al livello più basso degli ultimi 50 anni. Inoltre – aggiunge il direttore Albanese – il regime di Maduro ha una causa aperta con il Regno Unito per circa 1,13 miliardi di dollari in oro, attualmente bloccati nei caveau della Banca d’Inghilterra su richiesta del presidente ad interim Juan Guaido, a cui il governo inglese ha riconosciuto il diritto di disporre dell’oro.

Ma dov’è andato a finire tutto questo oro? Gli “indizi” portano tutti ad Ankara, dacché nel caso venezuelano- dice Andrea Merlo – la Turchia “c’è dentro fino al collo”. Il Governo di Erdogan non è l’unico ad essere invischiato nei poco trasparenti affari in Venezuela. La Russia è da sempre un alleato di Maduro, ed è presente sul territorio con i suoi consiglieri economici e con una base missilistica in difesa di Caracas e contro eventuali incursioni statunitensi. L’interesse di Mosca per il Venezuela riguarda la gestione del petrolio e, infatti, nei mesi scorsi la PDVSA, la compagnia petrolifera statale venezuelana, ha stretto accordi con il colosso petrolifero russo Rosneft, in forza dei quali in futuro la Rosneft potrebbe acquisire la maggioranza de PDVSA. Ma c’è di più, ci spiega il direttore di AGC Communication. La PDVSA possiede la Citgo Petroleum Corp, società di raffinazione e distribuzione di carburanti americana. Per assurdo la Rosneft russa potrebbe gestire una una catena di distributori in America.

Non è finita qui, perché anche la Cina fa parte del gioco. Ed è proprio Pechino un altro importante sostenitore di Maduro, almeno fino a quando non riuscirà sfilargli il controllo di parte del territorio e delle risorse. Il Venezuela è indebitato con la Cina per oltre 60 miliardi e, quando sarà chiaro che Maduro non potrà ripagare il debito, Pechino adotterà la sua ormai nota strategia di “acquisizione” di risorse e infrastrutture.

A quanto detto, va aggiunto il legame sempre più forte tra il Venezuela e l’Iran, che conta sul territorio una forte presenza di membri dell’organizzazione Hezbollah. In questi mesi diverse navi iraniane hanno portato ingenti carichi di beni di consumo non ben definiti a Caracas, invadendo il mercato venezuelano con suoi prodotti. “Qual è la contropartita di questo atteggiamento dell’Iran?” si chiede Andrea Merlo. Si può ipotizzare – aggiunge Merlo – che ci siano delle plusvalenze tra quello che esce verso l’Iran e quello che entra in Iran dal Venezuela. In altre parole, si sta parlando dell’ennesimo giro di riciclaggio internazionale.

L’analisi fin qui esposta, ci induce a porci una legittima domanda. In considerazione degli interessi che a vario titolo legano la politica di Maduro a molti paesi e gruppi di potere, esiste una reale volontà della comunità internazionale a superare l’attuale regime venezuelano? L’approvazione, lo scorso luglio, di una mozione da parte della UE ha contro il regime di Maduro può essere considerata un fatto importante, osserva il direttore Albanese. A conti fatti, però, dei circa 60 paesi che hanno apertamente riconosciuto Guaidò come presidente ad interim, in realtà pochissimi di loro hanno conseguenzialmente cacciato gli ambasciatori di Maduro in favore di quelli del nuovo presidente. Tranne gli U.S.A. e il Regno Unito, gli gli altri Stati non hanno fatto granché, sostiene dal canto suo Andrea Merlo. In particolare, l’amministrazione Trump è riuscita per la prima volta a portare nell’agenda internazionale la questione del Venezuela, non come un problema dei venezuelani ma come problema di sicurezza mondiale.

Rimangono tanti interrogativi. Dove sono finiti tutti i soldi del Venezuela e a cosa sono serviti? Chi ha guadagnato in queste speculazioni che stanno facendo morire di fame i venezuelani? E’ abbastanza chiaro che molti soldi siano stati impiegati in Medio Oriente, ma in che modo? “L’aereo di Haftar è volato in questi mesi diversi volte da Bengasi a Caracas – fa notare Andrea Merlo – qualcuno nei Palazzi del potere se ne è accorto?” Lo scorso novembre le nostre Forze dell’ordine hanno fatto irruzione nell’abitazione italiana di Alex Saab, ma non l’hanno trovato. “Una soffiata?” ipotizza Merlo.

A dicembre si terranno nuove elezioni in Venezuela, e già si parla di elezioni farsa. Il partito Vente Venezuela ha già dichiarato che non parteciperà. La comunità internazionale non ha nemmeno inviato gli osservatori di missioni internazionali ( che si attivano di regola 6 mesi prima di una consultazione). Il prof. Fabio Valentini ricorda che la democrazia in un paese non si misura in base al numero di elezioni che vengono svolte, ma dalla garanzia di uno stato di diritto, che in Venezuela è completamente assente. L’unica speranza per il Venezuela – afferma il prof. Valentini – è un’operazione internazionale per difendere i lavori occidentali, che con l’uso legittimo della forza per liberare il Venezuela e gestire una transizione democratica.

A questo punto le parole non bastano più. La reale volontà di tutta la comunità internazionale si misurerà dai fatti concreti che saranno messi in atto. Tutto il resto odora tanto di “complicità”.