
Retorica politica e azioni di guerra in teatri proseguono di pari passo oramai da mesi, da quando Mosca ha invasi l’Ucraina.
Sostenuta da avanzati sistemi d’arma occidentali, Kiev ha contrattaccato a maggiore distanza e con maggiore precisione. La prospettiva di schierare gli Himars a sostegno della controffensiva a Kherson ha spinto l’ex presidente russo Dmitry Medvedev a minacciare il “giorno del giudizio” se l’Ucraina avesse colpito obiettivi in Crimea.
La penisola, che ospita la flotta russa del Mar Nero, è stata annessa da Mosca nel 2014 e da febbraio è stata estremamente importante nello sforzo bellico della Russia, soprattutto come trampolino di lancio per le operazioni di terra nell’est, compreso l’assedio di Mariupol. Più di recente, il Cremlino ha anche utilizzato la Crimea come hub per l’esportazione di grano ucraino.
La Russia ha ripetutamente minacciato scenari apocalittici di questo tipo. Di solito queste minacce erano rivolte alla Nato, inizialmente ai rifornimenti di armi e munizioni, poi al dispiegamento di truppe. Ora Mosca sembra aver accettato di poter fare ben poco per le forniture di armi e sta riposizionando il modo in cui queste armi vengono utilizzate dall’Ucraina, riporta AT.
L’ira di Medvedev, lanciata attraverso il suo profilo Telegram, non dovrebbe essere liquidata così rapidamente, cone sta avvenendo: l’uso dell’espressione “minaccia sistemica” in relazione a qualsiasi attacco alla Crimea indica uno dei fattori scatenanti l’uso delle armi nucleari nella dottrina militare russa.
Secondo i media russi, Medvedev, ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, l’avrebbe usata in un discorso ai militari di Volgograd promettendo «un giorno del giudizio, molto rapido e duro, immediatamente» se le forze ucraine avessero attaccato la Crimea. Mentre nessun altro Stato ha riconosciuto l’annessione della Crimea da parte della Russia, Medvedev ha inquadrato tale risposta come una reazione legittima a un attacco al territorio russo.
Questa narrazione della difesa della “madre Russia” nasconde l’importanza strategica della Crimea per la Russia e la dipendenza di Mosca da aree di sosta sicure e linee di rifornimento se vuole avanzare più a ovest sulla costa del Mar Nero verso Odessa.
L’aumento degli attacchi a Mykolaiv suggerirebbe che questa è ancora una possibilità contemplata dal Cremlino, in linea con gli obiettivi della “seconda fase” dell’”operazione militare speciale” in Ucraina, che includono la completa “liberazione” del Donbas e un corridoio terrestre da lì lungo la costa del Mar Nero fino al confine dell’Ucraina con la Moldavia.
Con riferimento alla Crimea, Mosca sta ora fissando un’altra linea rossa, non per l’Occidente, ma per l’Ucraina: una situazione diversa e potenzialmente più pericolosa.
Parte di questo quadro più ampio è l’aspettativa, da entrambe le parti, di una resa dei conti in autunno. L’Ucraina e la Russia sperano entrambe di “congelare” le linee del fronte in una posizione favorevole prima della ripresa dei colloqui di pace e prima che l’inverno renda più difficili i combattimenti. A tal fine, entrambe le parti hanno bisogno di mobilitare più forze e di rifornire le loro attrezzature.
Mentre l’Ucraina è più vicina a una mobilitazione generale, la Russia finora l’ha evitata e ha utilizzato volontari e contractor, il gruppo Wagner.
La Russia sta utilizzando la storica definizione delle sue forze armate: il rullo compressore, disponendo di circa 140 milioni di abitanti rispetto ai 40 milioni dell’Ucraina, e un utilizzo cinico dell’equipaggiamento, spesso obsoleto, ma comunque efficace.
Lo stallo prolungato nel Donbas è praticamente inevitabile una volta che la Russia avrà conquistato il resto della regione di Donetsk, con costi alti per le truppe e per i civili che si trovano nel mezzo.
Ciò potrebbe aumentare la tentazione dell’Ucraina di colpire il ponte russo che attraversa lo stretto di Kerch verso la Crimea e la Russia di rispondere con armi nucleari tattiche.
Non si tratterebbe di un attacco alla Nato ma una operazione di guerra in Ucraina, con l’assenza percepita da Mosca di remore internazionali e rischi globali a mettere in atto questa minaccia.
Antonio Albanese