
Il presidente Joe Biden ha annunciato l’8 marzo 2022 che gli Stati Uniti bandiranno le importazioni di petrolio dalla Russia, insieme a prodotti petroliferi raffinati, gas naturale e carbone. Il divieto è l’ultima azione degli Stati Uniti contro l’invasione russa dell’Ucraina. La Russia produce quasi 11 milioni di barili al giorno di petrolio greggio e usa circa la metà di questa produzione per la propria domanda interna, che presumibilmente è aumentata a causa delle maggiori esigenze di carburante militare, ed esporta da 5 a 6 milioni di barili al giorno.
Oggi la Russia è generalmente il secondo produttore di greggio al mondo, dietro gli Stati Uniti e davanti all’Arabia Saudita. La Russia ha guadagnato più di 110 miliardi di dollari nel 2021 dalle esportazioni di petrolio, il doppio dei suoi guadagni dalle esportazioni di gas naturale. Per gli Stati Uniti, la Russia è una fonte di petrolio relativamente piccola. Nel 2021 ha fornito l’8% delle importazioni statunitensi di petrolio greggio e prodotti petroliferi. A volte, negli ultimi anni, quella quota è aumentata, dopo eventi particolari come le sanzioni al Venezuela e le tempeste che hanno interrotto la produzione offshore l’anno scorso nel Golfo del Messico, riporta The Conversation.
Ma il greggio russo non è davvero un elemento base per il sistema di raffinazione statunitense. Gli acquisti erano scesi a 84.000 barili al giorno quando l’amministrazione Biden ha annunciato formalmente il divieto di importazione; ma gli States non raffinano petrolio russo a differenza degli altri paesi che comprano il petrolio russo. Mettere simili bandi è molto più difficile per l’Europa: il Regno Unito, che è un produttore di petrolio, sta anch’esso vietando le importazioni di petrolio russo, ma convincere altre nazioni del G-7 come la Germania, l’Italia e il Giappone ad unirsi è complicato.
La Germania attualmente sta facendo piani per trovare alternative, assai difficili. Circa la metà del petrolio russo esportato viene spedito ai paesi europei, tra cui Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia, Lituania, Grecia, Romania e Bulgaria. La Cina è un altro grande acquirente: importa 1,6 milioni di barili al giorno di greggio russo.
Resta da vedere se la Cina prenderà del petrolio russo in più, che probabilmente sarà molto scontato, e lo rivenderà magari proprio al settore di raffinazione europeo “assetato”. Ad esempio, l’India ha già comprato carichi di greggio russo con un forte sconto.
Dal momento che il petrolio è un bene globale relativamente fungibile, almeno una parte delle esportazioni di greggio russo verso l’Europa e altri paesi che potrebbero scegliere di unirsi agli Stati Uniti e al Regno Unito nell’imporre sanzioni petrolifere, potrebbe finire per essere inviata da qualche altra parte. Questo libererebbe altre forniture da fonti come Norvegia, Angola e Arabia Saudita per essere reindirizzate in Europa. Il petrolio russo è “sporco”, quindi la raffinazione richiede attrezzature specializzate; ma altri acquirenti asiatici possono prenderlo, tra cui India e Thailandia.
L’Europa e gli Stati Uniti potrebbero contemporaneamente aumentare le vendite di petrolio greggio dalle loro scorte strategiche nazionali per diminuire il colpo di qualsiasi ulteriore restrizione sulle importazioni di petrolio greggio russo al G-7. Gli Stati Uniti stanno già vendendo 1,3 milioni di barili al giorno dalla loro riserva strategica di petrolio e hanno detto che aumenteranno questi flussi. Anche la Cina ha rilasciato petrolio dalle sue scorte strategiche nazionali per aiutare ad alleggerire i prezzi del petrolio.
Tuttavia, determinare quanto petrolio strategico rilasciare in una sola volta dipende dalle percezioni sulla durata del conflitto e se questo possa o meno allargarsi. Gli Stati Uniti e gli altri membri del G-7 potrebbero anche chiedere ai paesi del Medio Oriente di allentare le restrizioni di destinazione sulle loro spedizioni di petrolio greggio, e fare pressione su paesi come la Cina e l’India per reindirizzare altri oli di qualità simile al petrolio russo verso l’Europa se e quando aumenteranno i loro acquisti da Mosca.
Questi passi aiuterebbero a migliorare l’impatto aggiuntivo sul prezzo al rialzo di qualsiasi futura restrizione del G-7 sulle importazioni di petrolio russo.
Non è certo che la Cina e l’India coopererebbero, ma sarebbe nel loro interesse farlo. Sono grandi importatori di petrolio e non vorrebbero vedere prezzi del greggio più alti.
La riduzione degli acquisti di petrolio dalla Russia sta influenzando i prezzi mondiali del petrolio: i mercati hanno anticipato possibili sanzioni energetiche sulla Russia scontando il greggio russo: circa 1,6 milioni di barili al giorno di petrolio russo riuscirebbero oggi a trovare acquirenti. Il risultato è un’interruzione su larga scala nelle forniture globali di petrolio che sta già aumentando i prezzi, anche se fisicamente il petrolio è ancora disponibile.
C’è un limite alla quantità di petrolio disponibile per sostituire le esportazioni di greggio russo perse. La maggior parte degli esportatori sono al massimo in termini di produzione di greggio, ma alcuni dei maggiori produttori del Medio Oriente potrebbero aumentare la loro produzione a breve termine per mettere sul mercato un milione di barili in più o più al giorno.
Iran, accordo sul nucleare permettendo, Arabia Saudita, Venezuela, potrebbero riprendere o aumentare la produzione. Ma la Russia è una parte dell’accordo nucleare iraniano e dell’Opec + e ha rallentato i progressi diplomatici.
I sauditi hanno lanciato guerre dei prezzi che hanno danneggiato l’economia russa prima, nel 1986, 1998, 2009 e di nuovo brevemente nel 2020. Ma le condizioni odierne del mercato del petrolio rendono una guerra dei prezzi un risultato improbabile, dato lo stretto equilibrio esistente tra domanda e offerta, fatta salva una recessione globalizzata, come quella che l’effetto della guerra e dell’uscita dalle ristrettezze causate dalla pandemia potrebbe generare.
Antonio Albanese