Nonostante le misure dell’Ue e del governo nel 2012 un terzo dei fallimenti delle imprese è dovuto ai tempi lunghi nei pagamenti delle transazioni commerciali.
Grave la situazione delle PmiI ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra imprese, privati e Pubblica Amministrazione sono un malcostume di cui l’Italia ha il primato negativo in Europa. Il fenomeno ha come conseguenza la riduzione della liquidità aziendale e degli investimenti ed impedisce il buon funzionamento del mercato interno, frenando la crescita e la competitività.
Attualmente sette aziende italiane su dieci soffrono di liquidità dovuti ai ritardi di pagamento e il 31% del totale dei fallimenti è causato proprio da questo problema. Si calcola che le inadempienze della sola Pubblica Amministrazione ammontano ad almeno 75 miliardi e sono dovute soprattutto alla macchinosità dell’organizzazione delle procedure amministrative e alla complessità dei criteri di trasferimento dei fondi tra le varie strutture amministrative. Un ruolo rilevante lo riveste il patto di stabilità che impedisce, anche agli enti locali più virtuosi, di utilizzare la liquidità disponibile per provvedere a vecchi e nuovi impegni di spesa in nome del processo di risanamento dei conti pubblici.
Dall’indagine annuale European Payment Index (Epi) 2012, condotta da Intrum su oltre 8.000 imprese in 28 paesi europei, risulta che in Italia i tempi medi di pagamento per il settore business to consumer sono di 75 giorni, per il settore business to business sono di 96 giorni, mentre per il settore della P.A. sono addirittura di 180 giorni. La disomogeneità territoriale rappresenta un ulteriore fattore di debolezza per il sistema paese, considerando che i tempi più lunghi si registrano al Sud e nelle isole e poi al Centro, mentre al Nord sono decisamente più brevi.
I ritardi di pagamento, unitamente alla crisi economica e all’eccessiva imposizione fiscale, hanno effetti drammatici soprattutto sulle piccole e medie imprese, le quali, in mancanza di liquidità, non riescono a far fronte agli obblighi assunti nei confronti dei fornitori, dei propri dipendenti, dello Stato. Queste, inoltre, anticipando capitali e lavoro, diventano dei veri e propri sportelli bancomat per lo Stato e le grandi imprese, che a loro volta godono, da parte degli istituti di credito, di un trattamento decisamente più vantaggioso rispetto a quello riservato ai piccoli e medi imprenditori.
L’Unione europea è da sempre attenta e sensibile nei confronti delle Pmi comunitarie. Lo dimostra lo “Small Business Act” lanciato e pubblicato il 25 giugno 2008 dalla Commissione Europea che riflette la volontà politica di riconoscere alle PMI un ruolo fondamentale nell’economia europea. L’obiettivo dell’atto è di valorizzare le Pmi europee e la loro potenzialità di crescita e di creazione di occupazione, applicando il principio “Think Small First” cioè “innanzitutto pensare in piccolo”. Con lo “Small Business Act” la Commissione sottolinea la necessità di agevolare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici, di aiutarle a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico, di facilitarne l’accesso al credito, insieme alla creazione di un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali.
La direttiva Ue del 16 febbraio 2011 è perfettamente in linea con lo “Small Business Act” ed al fine di un passaggio, in tutti gli Stati membri, ad una cultura dei pagamenti rapidi fissa tre punti principali: rispettare i termini dei contratti entro 30 giorni dalla scadenza con alcune eccezioni per le quali tale periodo sarà di 60 giorni;considerare come clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua l’esclusione del diritto di applicare gli interessi di mora; riconoscere ai creditori un risarcimento equo in relazione ai costi di recupero sostenuti a causa del ritardo di pagamento.
In Italia tra il 2010 ed il 2011 si contano una decina di disegni di legge, qualcuno ancora in corso d’esame in commissione, aventi lo scopo di ridurre e rendere certi i termini di pagamento, istituire autorità garanti del rispetto dei termini contrattuali e creare fondi, presso Camere di Commercio o Cassa Depositi e Prestiti, per estinguere i debiti esistenti ed aiutare le imprese con problemi di liquidità.
Il governo tecnico, insediatosi a novembre del 2011, ha immediatamente dichiarato di ritenere i ritardi di pagamento una priorità nell’agenda istituzionale. In effetti nel corso del 2012 ha attuato vari interventi.
Con il decreto liberalizzazioni, firmato dal Presidente della Repubblica il 24 gennaio, sono stati destinati 5,7 miliardi di euro allo smaltimento dei debiti commerciali dell’amministrazione centrale verso le imprese mediante la conversione dei crediti delle stesse in titoli di stato, il riutilizzo di fondi speciali e la ricollocazione di alcune poste contabili.
Nello scorso maggio l’accordo siglato tra Abi e imprese ed i 4 decreti emanati del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’economia e delle finanze hanno sbloccato 20-30 miliardi destinati a risolvere, già nel corso dell’anno fiscale 2012, almeno in parte, il problema del ritardo nei pagamenti della PA. I decreti consentono alle imprese la certificazione dei crediti nei confronti della PA, la compensazione crediti-debiti con il Fisco, l’anticipo bancario.
A settembre, infine, è stato approvato dalla commissione Attività Produttive della Camera il disegno di legge per limitare a 30 giorni i tempi di pagamento tra le imprese private.
Nonostante tali iniziative, molto deve essere ancora fatto. E’ necessario innanzitutto il recepimento totale della Direttiva europea “Late Payments” entro fine anno, così come ha dichiarato il Presidente del consiglio Mario Monti già a febbraio, evitando, in tal modo, il mal funzionamento del mercato con conseguenti aumenti dei costi, scarsa qualità di prodotti e servizi e salvaguardando l’impresa italiana ed in particolare le Pmi, che rappresentano il volano per la futura competitività dell’Italia e dell’Europa.