UCRAINA. Le conseguenze asiatiche di una guerra con la Russia

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La Russia e l’Ucraina sono importanti esportatori globali di cibo ed energia, tra cui petrolio, gas, cereali e olio da cucina.

Potenziali sanzioni punitive sulla Russia nel caso in cui Mosca iniziasse un conflitto armato con l’Ucraina potrebbero interrompere la fornitura di cibo ed energia, ma avrebbero un impatto non uniforme nell’Asia-Pacifico, secondo una ricerca di Manulife Investment Management.

«Potenziali sanzioni punitive sulla Russia che interrompono la fornitura di tali beni avrebbero un impatto importante sull’economia globale, data la domanda praticamente inelastica di queste risorse strategicamente importanti», riporta AF. Anche se l’Asia-Pacifico è la più grande regione importatrice netta di cibo ed energia al mondo, non è monolitica, «quindi un picco nei prezzi di cibo ed energia avrebbe un impatto non uniforme» prosegue AF.

Per gli importatori, un tale sviluppo sarebbe uno shock commerciale e le conseguenti conseguenze per la crescita economica, esacerbate da una debole domanda interna. Il contrario sarebbe vero per gli esportatori di cibo ed energia. I maggiori esportatori di cibo ed energia dell’Asia-Pacifico, e quindi i meno vulnerabili, sono Nuova Zelanda, Malesia, Vietnam, Australia e Indonesia.

La Russia è il principale esportatore mondiale di gas naturale, con il 17,1% della produzione globale, e il secondo esportatore di petrolio greggio con il 12,1%. L’Ucraina e la Russia sono anche importanti produttori agricoli. Le loro esportazioni combinate di grano, orzo e mais rappresentano il 21% del totale globale e insieme forniscono il 60% degli oli di girasole del mondo.

Russia e Bielorussia rappresentano anche circa il 20% delle esportazioni totali di fertilizzanti, vitali per la produzione alimentare globale. Nel frattempo, la Russia è uno dei maggiori produttori mondiali di metalli critici. È il più grande esportatore di palladio, 20,7% del volume totale, ed è al secondo posto dopo il Cile per il rame, 7,1%; importanti sono anche le produzioni di nichel e alluminio. Il bisogno di queste materie prime specifiche è storicamente aumentato in tempi di conflitto e potrebbe essere un problema per le catene di approvvigionamento globali già tese; si potrebbe innescare una pressione al rialzo dei prezzi in un ambiente già dolorosamente inflazionato anche a causa della pandemia.

In un tale scenario, tutto ciò agirebbe come un ulteriore shock stagflazionistico, cioè crescita più bassa ma inflazione più alta. Le economie con i più bassi pesi netti dei panieri di cibo ed energia e, quindi, le meno vulnerabili sono Hong Kong, Australia, Corea del Sud e Cina.

In un conflitto, lo slancio delle esportazioni rallenterebbe e le economie meno dipendenti dalla domanda estera sono Filippine, Hong Kong, India, Corea del Sud e Thailandia.

In una simile situazione di crisi, si potrebbe registrare anche un deterioramento delle posizioni fiscali se i governi aumentassero i sussidi per aiutare a contenere l’inflazione e alleviare il peso sulle famiglie a basso reddito. I mercati con le posizioni fiscali più forti sono Singapore, Vietnam, Taiwan, Thailandia e Filippine.

Singapore, Malesia, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda dovrebbero essere i maggiori beneficiari di un’eventuale impennata dei prezzi di cibo ed energia, mentre Indonesia, Filippine, Nuova Zelanda e India sembrano i meno esposti a un potenziale shock di liquidità.

Graziella Giangiulio