UCRAINA. Conflitti sulla linea del fronte. E se scatta l’articolo 5 NATO?

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Ieri si sono tenuti i colloqui per disinnescare la tensione sulla linea del fronte tra Donbass e Ucraina. Ai colloqui hanno partecipato Ucraina, rappresentanti delle autoproclamate repubbliche del Donetsk e Lugansk, Francia, Germania. Purtroppo non sono stati fatti passi avanti.

Andriy Yermak, capo dell’Ufficio del Presidente dell’Ucraina Zelensky, ha negato notizie di trattative dirette con i capi della Ldnr: «Parleremo di ripristinare il regime di cessate il fuoco completo. Parleremo di questioni umanitarie, dell’apertura del checkpoint e del futuro del formato Normandia».

Il 25 gennaio il ministro per gli Esteri russo Sergei Lavrov, ha ribadito che il dialogo può partire solo dalla base degli accordi di Minsk e dal non allargamento della NATO a est. In una dichiarazione alla stampa ha detto: «La Russia chiede a Stati Uniti, Francia e Germania di costringere Kiev a rispettare gli accordi di Minsk. Mosca reprimerà severamente i tentativi di trasferire alla Russia la responsabilità della mancata attuazione degli accordi di Minsk. E poi ha aggiunto: Di recente, gli Stati Uniti e i loro alleati europei, che hanno completamente dimenticato la cultura della diplomazia, stanno raddoppiando gli sforzi per contenere il nostro Paese. Oltre alle sanzioni unilaterali illegittime, stanno aumentando la pressione militare e politica sulla Russia. Basta guardare alle manovre militari sempre più provocatorie vicino ai nostri confini, a trascinare il regime di Kiev nell’orbita della Nato, fornendogli armi letali e spingendolo a compiere provocazioni dirette contro la Federazione Russa. E in questo contesto, le richieste a noi rivolte di fermare le esercitazioni militari sul nostro stesso territorio, di cui abbiamo il pieno innegabile diritto, suonano particolarmente ciniche. Gli occidentali guidati dagli Stati Uniti stanno cercando di resistere al corso oggettivo della storia, cercando di assicurarsi un vantaggio unilaterale». Le dichiarazioni di Lavrov sono dunque passate dai toni di apertura a toni assertivi. Come per dire: basta chiacchiere e minacce.

Sulla linea del fronte del Donbass la situazione è sempre più tesa. Le milizie della Repubblica Popolare di Donetsk hanno attaccato le posizioni dell’esercito ucraino vicino al checkpoint di Hnutove, vicino al villaggio di Pyshchevik, usando un UAV, ferendo due soldati. Le condizioni di uno di loro sono state valutate come leggere e l’altro come gravi. Il quartier generale dell’OOS ha notato che durante il giorno ci sono stati cinque scontri tra le forze armate ucraine e i militari della DNR sulla linea del fronte a Avdiyivka, Maryinka, Shyrokyne e Pyshchevyk. Durante il complesso delle attività di ricerca operativa nei pressi di Dokuchaevsk, il ministero della Sicurezza di Stato del DPR ha scoperto un deposito attrezzato in una delle case abbandonate, che conteneva 1,6 kg di tritolo, 20 bombe a mano e 15 colpi per un lanciagranate. Secondo le informazioni disponibili, queste munizioni sono state preparate da agenti dei servizi speciali ucraini per un ulteriore utilizzo durante una serie di sabotaggi e atti terroristici al fine di destabilizzare la situazione nella Repubblica. Secondo la rappresentanza del DPR nel JCCC: nell’ultima giornata l’AFU ha violato 8 volte il cessate il fuoco a tempo indeterminato. Il bombardamento della VFU è stato effettuato nella direzione degli insediamenti: Vasilievka, Spartak, Donetsk (villaggi della miniera “Trudovskaya” e Gornyak), Oktyabr, Belaya Kamenka, Dzerzhinskoye. Non ci sono state vittime tra i civili e danni alle infrastrutture civili durante il periodo di riferimento. Il numero totale di munizioni utilizzate da VFU è di 43 unità.

La situazione dunque si sta deteriorando di giorno in giorno. Gli Stati Uniti hanno consegnato il terzo carico di armi a Kiev nella giornata del 25 gennaio, Javelin e munizioni. Fatto questo che ha fatto scattare la richiesta di Vladimir Vasiliev del partito russo Russia Unita alla DUMA di invio di armi alle repubbliche del Lugansk e Donesk. Richiesta accolta con favore dalle milizie del DPR e LPR.

Prima che le cose peggiorino bisogna intervenire e avere un messaggio univoco per la Russia. Stati Uniti e NATO hanno detto tutto e il contrario di tutto e questo irrita i russi che sono sempre più vicino a Pechino e più lontani dal Vecchio Continente. Non gioverebbe a nessuno nemmeno ricorrere all’art. 5 NATO.

Il principio della difesa collettiva è al centro del trattato di fondazione della NATO. Rimane un principio unico e duraturo che lega insieme i suoi membri, impegnandoli a proteggersi a vicenda e creando uno spirito di solidarietà all’interno dell’Alleanza.

Nel 1949, lo scopo principale del Trattato del Nord Atlantico era quello di creare un patto di assistenza reciproca per contrastare il rischio che l’Unione Sovietica cercasse di estendere il suo controllo dell’Europa orientale ad altre parti del continente.

Ogni paese partecipante concordò che questa forma di solidarietà fosse il cuore del trattato, rendendo effettivamente l’articolo 5 sulla difesa collettiva una componente chiave dell’Alleanza. L’articolo 5 prevede che se un alleato della NATO è vittima di un attacco armato, ogni altro membro dell’Alleanza considererà questo atto di violenza come un attacco armato contro tutti i membri e prenderà le azioni che ritiene necessarie per assistere l’alleato attaccato.

Ecco il testo: «Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o in America del Nord sarà considerato un attacco contro tutte loro e di conseguenza convengono che, se un tale attacco armato si verifica, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti così attaccate prendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre Parti, le azioni che riterrà necessarie, compreso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza della zona del Nord Atlantico.

Qualsiasi attacco armato di questo tipo e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente riferite al Consiglio di Sicurezza. Tali misure termineranno quando il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionale».

Il successivo articolo 6, modificato e ampliato nel tempo, stabilisce: «Ai fini dell’articolo 5, si considera che un attacco armato contro una o più delle Parti comprenda un attacco armato: sul territorio di una qualsiasi delle Parti in Europa o in America del Nord, a nord del Tropico del Cancro; sulle forze, le navi o gli aeromobili di una qualsiasi delle Parti, quando si trovino su questi territori o su qualsiasi altra zona d’Europa in cui le forze di occupazione di una qualsiasi delle Parti erano di stanza alla data di entrata in vigore del Trattato o nel Mar Mediterraneo o nella zona dell’Atlantico settentrionale a nord del Tropico del Cancro».

Con il trascorrere del tempo si è allargato il concetto di attacco e di attaccante: ora si può invocare l’articolo 5 anche in caso di attacco hacker, per semplificare, o di un ente esterno non statale come fu nel 2001 dopo gli attacchi dell’11 settembre, o anche di un attacco satellitare.

Con l’invocazione dell’articolo 5, gli alleati possono fornire qualsiasi forma di assistenza che ritengono necessaria per rispondere a una situazione. Questo è un obbligo individuale per ogni alleato e ogni alleato è responsabile di determinare ciò che ritiene necessario nelle circostanze particolari.

Questa assistenza viene portata avanti di concerto con altri alleati. Non è necessariamente militare e dipende dalle risorse materiali di ogni paese. È quindi lasciato al giudizio di ogni singolo paese membro determinare come contribuire. Ogni paese si consulterà con gli altri membri, tenendo presente che il fine ultimo è quello di «ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area del Nord Atlantico».

Al momento della stesura dell’articolo 5 alla fine degli anni ’40 del Novecento, c’era consenso sul principio dell’assistenza reciproca, ma un disaccordo fondamentale sulle modalità di attuazione di questo impegno. I partecipanti europei volevano assicurarsi che gli Stati Uniti venissero automaticamente in loro aiuto se uno dei firmatari fosse stato attaccato; gli Stati Uniti non volevano fare un tale impegno e ottennero che questo si riflettesse nella formulazione dell’articolo 5.

La difesa collettiva fu invocata su richiesta della Turchia, in tre occasioni, la NATO ha messo in atto misure di difesa collettiva: nel 1991 con il dispiegamento di missili Patriot durante la guerra del Golfo, nel 2003 con l’accordo su un pacchetto di misure difensive e lo svolgimento dell’operazione Display Deterrence durante la crisi in Iraq, e nel 2012 in risposta alla situazione in Siria con il dispiegamento di missili Patriot.

Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e l’aumento delle sfide alla sicurezza da sud, la NATO ha attuato il più grande aumento della difesa collettiva dai tempi della Guerra fredda: ha triplicato la dimensione della Forza di risposta rapida della NATO, ha istituito una Forza di pronto intervento di 5.000 uomini e ha schierato gruppi di combattimento multinazionali in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.

L’Alleanza ha anche aumentato la sua presenza nel sud-est con una brigata multinazionale in Romania; ha intensificato la sorveglianza aerea sulle zone del Baltico e del Mar Nero e possiede capacità militari congiunte, Jisr (Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaissance).

Le misure di difesa collettiva, infatti, non sono solo determinate dagli eventi. La NATO ha un certo numero di forze permanenti in servizio che contribuiscono alla difesa collettiva dell’Alleanza su base permanente.

Venendo alla partecipazione dell’Italia ad un eventuale conflitto scaturito dall’invocazione dell’articolo 5 Nato occorre considerare quanto previsto dalla nostra carta costituzionale negli articoli 11, 77, 78, 87.

L’articolo 11 della Costituzione italiana recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»; all’articolo 78 si legge: «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari»; mentre all’articolo 87 si legge che il Presidente della Repubblica «ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio Supremo di Difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».

Fin qui tutto procede chiaramente a questo punto non resta che inserire l’articolo 77: «Quando in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni».

Come fu nel 2001 dopo gli attacchi qaedisti agli USA, nel caso in cui scoppiasse una guerra tra NATO e Russia, venendo invocato l’articolo 5 del Trattato Atlantico ci sono basicamente due letture della Costituzione.

Per alcuni, il caso di un eventuale attacco sotto egida Nato non si può considerare una guerra e comunque sarebbe stata già dichiarata da un organismo superiore e vincolante cioè la NATO attraverso la sua Assemblea Parlamentare.

Non si dovrebbe quindi ricorrere agli articoli 78 e 87. Comunque si verificherebbe quanto previsto dall’articolo 11, cioè una limitazione della sovranità nazionale per creare condizioni di pace e giustizia fra le nazioni.

Concretamente l’azione di governo in favore della NATO si esplicherebbe attraverso l’articolo 77 per decidere l’invio di aiuti, militari e non. Il parlamento potrebbe non essere del tutto scavalcato perché sarebbe politicamente opportuno un passaggio parlamentare, se l’appoggio che l’Italia dara’ alla reazione Nato non fosse solo logistico.

Per altri, anche un attacco sotto egida Nato ex articolo 5, è da considerarsi guerra e quindi occorre passare attraverso il parlamento seguendo le procedure previste dalla Carta Costituzionale.

Graziella Giangiulio e Antonio Albanese