TURCHIA. Il machismo turco perde pezzi: Me Too scuote la cultura anatolica

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Dall’8 dicembre, l’hashtag uykularinizkacsin (#hopersoilsonno) ha puntato il dito contro una mezza dozzina di autori maschi accusati di molestie sessuali. Le rivelazioni sono state seguite da una raffica di premi richiamati, dichiarazioni delle case editrici di interruzione dei rapporti con gli accusati e, tragicamente, il suicidio di uno degli accusati. Dopo una settimana, questo movimento tardivo di Me Too in Turchia non mostra segni di rallentamento. Al contrario, ci sono segnali che potrebbero essere diffusi nel mondo accademico e nel mondo del giornalismo.

Quando una mezza dozzina di nomi di presunti molestatori è cominciato a circolare sui social media e sui giornali, le case editrici hanno dichiarato rapidamente il loro sostegno alle donne e annunciato che stavano tagliando i legami con gli accusati, riporta Al Monitor.

Il Sindacato degli Scrittori della Turchia ha esortato ad scrivere articoli contro le molestie e ha offerto supporto legale alle vittime di molestie che volevano portare le loro richieste in tribunale. Diverse giurie letterarie, tra cui l’Associazione Turca dei Giornalisti, che assegna il prestigioso Premio Sedat Simavi, ha chiesto le scuse degli autori con alterni giudizi ed esiti. Poi gli eventi hanno preso una piega ancora più drammatica quando Ibrahim Colak, un cinquantaseienne proprietario di un negozio di libri d’autore, si è impiccato nella sua casa di Ankara il 10 dicembre.

Il suicidio ha alimentato un acceso dibattito tra coloro che hanno espresso preoccupazione per il “character assassination” su Twitter e altri che si sono opposti a considerare i molestatgori come vittime perché uno di loro si è suicidato. «Non perdiamo di vista il fatto che quest’uomo si è ucciso non perché si vergognasse delle molestie, ma perché quello che ha fatto è venuto fuori», ha scritto Leyla Salinger, con diversi altri giornalisti che le hanno dato il loro appoggio. Poco dopo questa dichiarazione, Salinger ha chiuso il suo account Twitter, per una serie di attacchi dopo che un ex parlamentare Akp l’ha accusata di essere una sostenitrice del movimento Gulen.

Il 12 dicembre, 62 gruppi di donne si sono mobilitati in favore di Leyla Salinger e di coloro che hanno denunciato gli abusi, affermando che le campagne contro le donne che hanno rivelato le loro storie di molestie hanno dimostrato che i molestatori si erano fatti prendere dal panico e cercavano di mettere a tacere le donne. «Non ci biasimeremo per aver denunciato le molestie subite», si legge nel loro comunicato.

Il movimento Me Too, nato negli Stati Uniti e che ha scatenato simili rivelazioni in tutto il mondo, dall’Iran a Israele, è stato lento in Turchia, dove le prime donne a parlare sono state messe a tacere o semplicemente ignorate. Nel 2015, quando Beren Saat, un’attrice popolare, ha dichiarato di essere stata molestata dal potente capo di una catena televisiva, sono arrivate altre testimonianze dal mondo dello spettacolo. Ma quasi tutti si sono astenuti dal dare nomi specifici, e non è stata intrapresa alcuna azione legale.

In effetti, le rivelazioni arrivano in un momento in cui le donne turche hanno alzato la voce, sia online che in strada, contro i piani dell’Akp di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, l’accordo internazionale contro la violenza domestica. Il governo sembra aver fatto marcia indietro rispetto alla decisione. Diversi casi di stupro hanno, infatti, fatto scendere in piazza donne turche di ogni fede politica.

Graziella Giangiulio