TURCHIA. Il dilemma di Erdogan

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Erdogan sta giocando col fuoco economico e quindi politico. Quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato il 20 dicembre che il suo governo avrebbe sostenuto il crollo della lira turca con miliardi di dollari di fondi statali e che lo stato avrebbe coperto le perdite di cambio su alcuni depositi bancari, la mossa ha prodotto risultati elettrizzanti.

La lira è risalita da un minimo storico, 60% in meno rispetto al dollaro nel corso dell’anno, per balzare del 38% il giorno seguente ed era in crescita del 50% il 24 dicembre. I media statali riportavano lunghe code di turchi che stavano cambiando i loro dollari in lire, e i negozianti che stavano presumibilmente tagliando i prezzi, riporta AT.

Erdogan ha prontamente annunciato che il piano era parte della “guerra economica di indipendenza” della Turchia, e che avrebbe vinto. L’Akp ha chiesto al Consiglio Supremo per le Elezioni quanto presto avrebbe potuto indire delle elezioni improvvise, scatenando la speculazione che il governo stesse cercando di incassare politicamente la sua autoproclamata “vittoria” economica.

Ad oggi, sembra che la realtà sia ben diversa: il nuovo anno è iniziato con una serie di nuovi aumenti dei prezzi di energia, cereali, trasporti, tabacco, alcool e carburante, con un’inflazione ai massimi da due decenni.

Allo stesso tempo, la sostenibilità della “nuova” politica di sostegno alla lira è stata sempre più messa in discussione, mentre la lira traballa di nuovo, scendendo del 22% nelle precedenti nove sessioni di trading il 6 gennaio.

Erdogan si trova quindi di fronte a un difficile dilemma, se convocare o meno le elezioni anticipate rispetto alla data prevista nel giugno 2023.

Il 2023 è un anno pieno di simbolismo per il filo-islamista Erdogan, poiché segna il centesimo anniversario della fondazione della Repubblica turca da parte di Kemal Ataturk. Allo stesso tempo, coloro che si oppongono all’ormai ventennale governo di Erdogan sono sempre più allarmati dal fatto che qualsiasi mossa verso le urne possa anche andare di pari passo con una nuova grande repressione dell’opposizione.

I recenti avvertimenti di Erdogan contro le proteste di strada e gli appelli dei suoi partner di coalizione a perseguire il suo potenziale principale rivale per la presidenza, il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, hanno rafforzato i timori.

La “nuova” politica economica di Erdogan si basa sulla promessa del governo di garantire i depositi di lire turche nelle banche della nazione contro le fluttuazioni del tasso di cambio.

È arrivata dopo mesi di svalutazione schiacciante della lira, in gran parte innescata dai tagli dei tassi di interesse annunciati dalla banca centrale della Turchia. Data l’inflazione già alta in Turchia, questi tagli sono andati contro l’ortodossia economica, che detta che i tassi di interesse dovrebbero essere aumentati, non tagliati, per contenere i prezzi galoppanti.

Eppure i tagli dei tassi di interesse hanno anche aiutato a mantenere il denaro nell’economia, con Erdogan che sostiene che generano crescita che a sua volta stabilizzerà i prezzi e i tassi di cambio. Erdogan aveva anche sostenuto che i tassi di interesse sono anche contro i principi islamici, e solo “rendono i ricchi più ricchi e i poveri più poveri”, il 31 dicembre.

L’annuncio di Erdogan della garanzia è stato anche accompagnato da un importante intervento della banca centrale e di due delle tre banche statali del paese, Vakif Bank e Halkbank, che sono controllate dal fondo patrimoniale nazionale della Turchia.

Circa 5,5-5,7 miliardi di dollari delle riserve in valuta estera della banca centrale sono stati esauriti nei due giorni dopo l’annuncio della politica di “guerra economica” di Erdogan, insieme a circa 3 miliardi di dollari della Vakif Bank e Halkbank, secondo Reuters. Questo sembra essere stato ciò che ha invertito il declino della lira.

Allo stesso tempo, la politica di Erdogan non è veramente “nuova”. Uno schema simile è stato gestito dal governo turco negli anni ’70, ma è stato rapidamente abbandonato, perché ha messo sotto pressione il Tesoro turco, che era costretto a fornire garanzie quando la lira continuava a deprezzarsi.

Questo lega quindi le sorti della lira molto più strettamente alle finanze pubbliche, relativamente robuste al momento ma ulteriori forti cadute potrebbero prosciugare rapidamente le casse, creando un chiaro dilemma politico per Erdogan.

Se Erdogan portasse il paese alle urne in anticipo sui tempi, dovrà fare i conti con una popolazione scontenta che soffre di forti aumenti dei prezzi e di una visibile erosione del suo standard di vita.

Anche se ufficialmente l’inflazione annuale è al 36%, il 3 gennaio la società di sondaggi indipendente Enagrup ha detto che la cifra annuale reale era dell’82,81%. Il nuovo anno ha visto le tariffe dell’elettricità per le imprese aumentare del 125%, mentre le famiglie hanno affrontato aumenti di prezzo dell’elettricità del 50%.

I prezzi del grano sono aumentati del 25%, i biglietti del treno sono aumentati del 20%-36%, le tariffe degli autobus di Istanbul sono aumentate del 36% e i prezzi dei taxi sono aumentati di circa il 33%. Anche cercare conforto nelle sigarette e nell’alcol è diventato più costoso, con una speciale tassa di consumo su di essi che è aumentata del 47% il giorno di Capodanno.

Presi tra l’incudine e il martello, Erdogan e i suoi alleati sembrano rivoltarsi contro l’opposizione: partito curdo e sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, suo antagonista politico alla leadership nazionale.

Antonio Albanese