
Nulla da fare per le importazioni di petrolio turco dall’Iraq che continuano a rimanere in un vicolo cieco. Nonostante le promesse e i viaggi dei funzionari curdi in Turchia, la situazione rimane ferma.
Il 19 maggio, il primo Ministro iracheno Mohammad Shiyas al-Sudani ha detto ai giornalisti che i negoziati con le compagnie petrolifere per riprendere le esportazioni di petrolio dal Kurdistan iracheno alla Turchia non hanno avuto successo.
Ricordiamo che la Turchia ha sospeso gli acquisti di petrolio dal nord dell’Iraq il 25 marzo 2023, dopo che la Corte internazionale di arbitrato di Parigi ha stabilito che la Turchia aveva violato un accordo bilaterale facilitando la fornitura di oleodotti indipendenti al governo regionale del Kurdistan senza il permesso delle autorità federali. Da allora le aree petrolifere del Kurdistan non sono riuscite a vendere un barile di petrolio alla Turchia che tiene l’Iraq sotto scacco anche per la questione idrica.
La Turchia non solo si rifiuta di pagare quanto stabilito dalla corte parigina ma vuole imporre il prezzo, la quantità e la via di transito, insomma vuole il controllo assoluto. A nulla sono valsi gli accordi per la questione del PKK che su richiesta della Turchia è stato dichiarato partito terroristico anche in Iraq. E ancora meno sono valse le richieste di Parigi, Londra Washington ad Ankara. In attesa di sciogliere questo nodo che per Erdogan sembra essere solo la presa del Kurdistan per farla diventare una nuova regione della Turchia, Ankara approfondisce la cooperazione energetica con Pechino.
Il ministro dell’Energia Arpaslan Bayraktar ha visitato la Cina e ha discusso di estrazione mineraria, energia nucleare ed energie rinnovabili.
Bayraktar ha affermato che in un incontro con il ministro cinese delle Risorse naturali Wang Guanghua, hanno concordato di sviluppare la cooperazione esistente e potenziale nel campo dell’estrazione mineraria, in particolare dei minerali critici e degli elementi delle terre rare.
Anna Lotti