Una grande folla che sventola bandiere tunisine e canta molte delle vecchie canzoni e slogan della rivolta del 2011 ha riempito la centrale Habib Bourguiba Avenue fin dalle prime ore del 14 ottobre inneggiando a Kais Saied, uscito vincitore delle presidenziali tunisine.
«Quello che ho fatto è una nuova rivoluzione», ha detto Saied ai sostenitori davanti la sua casa nel quartiere di Mnihla, alla periferia di Tunisi. «Dico ai tunisini che hanno impressionato il mondo». La vittoria di Saied è uno schiaffo a un’élite di governo che non è riuscita a fermare il declino del tenore di vita dopo la rivoluzione, o ad estirpare la corruzione diffusa, il nepotismo e il clientelismo, riporta Reuters.
Outdsider della politica, sostenuto sia dalla sinistra che dagli islamisti, Saied non ha speso praticamente nulla per la sua campagna, ma ha chiesto di rifare la politica tunisina introducendo una forma sperimentale di democrazia diretta.
Sono alte le speranze che l’elettorato ripone in questo neofita politico votato in maniera plebiscitaria «senza entrare nei dettagli del voto, sono stati, i giovani e gli accademici che hanno votato per il professore, con un numero leggermente maggiore di uomini rispetto alle donne», riporta Kapitalis. Questo risultato ha altri significati, ricorda il sito tunisino: «molti elettori hanno scelto Saied per le sue idee di rottura con il sistema in atto nel paese negli ultimi sessant’anni e paradossalmente rafforzate all’indomani della rivoluzione del gennaio 2011. C’è un sistema sordo, clientelare, corrotto e seduto sui suoi privilegi. Ma anche molti, senza condividere il conservatorismo e la rigidità dottrinale di Saied, cercarono invece, votando per lui, di bloccare l’altro candidato, l’uomo d’affari, che incarna questo sistema odioso che ha messo in ginocchio il paese, dividendolo esattamente in due classi sociali: una classe povera alla quale, nel corso degli anni, si è unita anche la la classe media di fronte a una classe ricca, egoista e spensierata, che ha fretta di porre fine al “sequel” della rivoluzione, percepiti come un’anomalia o un incidente ovviamente, in modo che il sistema di sfruttamento dei mezzi dello Stato e della forza del popolo continui come prima (…)
Ad un altro livello, e in base al profilo degli elettori, secondo quanto dichiarato dai sondaggisti, il 31% di loro non ha mai votato e il 22% non appartiene a nessun partito che abbia ufficialmente chiamato a votare per lui (…). Basti dire che metà dei suoi elettori si riconoscono solo in lui (…) In effetti, Saied ha creato con i suoi mezzi, piccole cose, se non l’essenziale, vale a dire ciò che incarna come fiducia, rigore morale, patriottismo, attaccamento al paese e desiderio incrollabile di aiutare i giovani: disoccupati laureati, poveri o disoccupati disperati da anni di vana attesa e delusi da tutti gli altri attori politici e da tutti i partiti. Questi giovani sono oggi convinti che Saied non li lascerà per strada (…)
Il programma da discutere e adottare non deve essere esclusivamente socio-economico, ma deve anche coprire tre o quattro emergenze: incentivare gli investimenti per rilanciare l’attività economica e creare posti di lavoro per i 650.000 disoccupati in Tunisia; combattere la corruzione, l’evasione fiscale, il contrabbando e il mercato parallelo per riempire le casse statali e consentirle di svolgere il proprio ruolo nel miglioramento dei servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti, ecc.); porre fine a privilegi di ogni tipo e rivedere il sistema di ridistribuzione per ridurre il numero di cittadini rimasti per strada».
Antonio Albanese