La realpolitik di Ennahda

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TUNISIA – Tunisi 15/01/2014. La nuova costituzione tunisina importa uno stravolgimento della precedente “costituzione Bourguiba” che prevedeva la separazione tra stato e chiesa: l’ultimo progetto di Costituzione, ancora in discussione, prevede però il velato predominio della religione sulla politica e sulla società.

Secondo al Hayat,  l’articolo 2 della Costituzione, che non può essere modificato, prevede che la Tunisia è uno Stato fondato sulla cittadinanza e sullo Stato di diritto, garantendo che la Sharia non sarà l’unica fonte legislativa e che le donne tunisine, ad esempio, non possano perdere i loro diritti. Il concetto di cittadinanza è stata consacrato così nel concedere gli stessi diritti e doveri a donne e uomini, vietando così qualsiasi discriminazione. Prima di allora , i parlamentari di Ennahda avevano proposto coi definire la donna come «complementare all’uomo», minacciando le conquiste fatte dalle donne nelle leggi sulla famiglia, sullo stato personale, dopo decenni di uguaglianza fin dai tempi di Bourguiba. Altro articolo importante ratificato nella nuova costituzione è quello sulla “libertà di coscienza” che consente alle persone di professare qualsiasi religione, o anche “nessuna religione”, e praticare le proprie convinzioni senza essere considerati apostati. Concede alle persone la libertà di scegliere i propri percorsi formartivi senza essere giudicati. La libertà di coscienza non è limitata alle credenze religiose: viene salvaguardata la libertà di affiliazione politica, intellettuale e ideologica, nonché la libertà di opinione. 

Si tratta di un obiettivo centrato dalla lobby di sinistra, che ha utilizzato gli assassinii di Mohammad Brahmi e Chokri Belaid per portare avanti le proprie istanze politiche.

La lotta dei gruppi di pressione di sinistra e laici non deve sorprendere, afferma il quotidiano, hanno lottato a lungo per tutelare i lavoratori, i diritti umani e civici. Quello che sta succedendo oggi in Tunisia è la logica conseguenza di questa lunga lotta.

La vittoria di Ennahda e del suo slogan “L’Islam è la soluzione” è da ricercaste nella volontà di contrastare i resti del regime precedente e nella frammentazione delle forze laiche. Quello che ha sorpreso è che l’articolo sulla libertà di coscienza è stato ratificato da un parlamento in cui Ennahda ha la maggioranza. Perché, so chiede al Hayat? Il fallimento di Ennahda nella gestione degli affari del paese, la sua mancanza di esperienza nel lavoro istituzionale e l’opposizione popolare hanno costretto il partito a riconoscere la propria impotenza e ad abbracciare la realpolitik; a questi fatti si può aggiungere  la lezione appresa dall’esperienza dei Fratelli Musulmani in Egitto, o dalla Siria che ha messo le forze dell’Islam politico in tutto il mondo sotto la lente del microscopio locale e internazionale.

Senza minimizzare lo sforzo fatto dall’opposizione civile e secolare, resta il fatto che Ennahda ha ratificato il progetto di Costituzione, mentre poteva impedirne la nascita. Si tratta di un ulteriore indicatore del pragmatismo dei partiti islamici: concessioni in cambio di una parte del potere. Il fatto che Ennahda non abbia scelto di tornare in clandestinità e ha accettato di giocare secondo le regole della costituzione, lascia una speranza per il futuro, chiosa il quotidiano.