TERRORISMO. Escalation del conflitto israelo-palestinese all’ombra di Daesh

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Tra il 21 e il 27 gennaio si è osservato una escalation del conflitto israelo-palestinese e ora si aggiunge la minaccia di Daesh. Mercoledì scorso, le unità delle Forze di Difesa israeliane hanno condotto un’operazione militare contro i militanti del Jihad islamico nel campo di Jenin, in Cisgiordania.

Per i media palestinesi, anche un civile è rimasto ferito durante l’operazione: un’anziana donna. L’operazione dell’IDF ha provocato reazioni prevalentemente negative tra i Paesi islamici: Israele è stato condannato da Egitto, Qatar, Giordania, Turchia e dai rappresentanti dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Quest’ultima ha annunciato una riduzione del livello di impegno con le autorità israeliane sulle questioni di sicurezza, suscitando reazioni di scherno da parte di alcuni utenti arabi del web a causa della “morbidezza” di tali misure.

Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio, gruppi radicali palestinesi hanno lanciato diversi attacchi missilistici contro il sud di Israele, ma i sistemi di difesa aerea Iron Dome hanno intercettato tutti i proiettili vicino ad Ashkelon. L’aviazione israeliana ha risposto con attacchi contro parti della Striscia di Gaza e il campo profughi di Al-Maghazi, da dove i comandanti israeliani ritengono che i bombardamenti su Israele siano stati coordinati.

Si tratta del primo “scambio di colpi” da quando Binyamin Netanyahu è salito al potere con un nuovo gabinetto. Il 27 gennaio sera c’è stato un attacco terroristico in una sinagoga di Gerusalemme Est: un palestinese ha fatto irruzione nella sinagoga e ha sparato, uccidendo 8 persone, tra cui un bambino.

In seguito all’incidente, il primo Ministro Netanyahu ha annunciato una riunione di emergenza del governo. Gli eventi cumulativi che si sono verificati rischiano di provocare una nuova escalation del conflitto; a tutto questo va aggiunto che Daesh non ha rivendicato ufficialmente l’attacco ma la rete social media ha fatto intendere che l’attentatore un giovane di 21 anni fosse uno dei loro. Il 29 gennaio on line da canali non ufficiali ISIS ma simpatizzanti è stato editato un video della durata di un ora dal titolo: ”LA FINE E L’INIZIO” – 2 -La guerra non è ancora iniziata. Una nuova campagna mediatica che parte dal Sinai ma che chiama alle armi contro Israele.

Sull’ultimo numero di al Naba, settimanale di Daesh, numero 376, editato on line il 3 febbraio, l’editoriale è dedicato all’attacco contro gli israeliani compiuto nel dicembre 2022 a Gerusalemme da Aslan Farouk, dal titolo “Kill the Jews”. Il testo, sulla cui copertina c’è la foto di Aslam Farukh, inizia con un appello a smettere di esaminare il conflitto in corso attraverso il prisma della storia o della nazionalità, ma a usare l’Islam per giustificare la guerra. Lo Stato islamico, nell’editoriale, sottolinea l’importanza dell’inimicizia con gli israeliani non come popolo, ma come gruppo religioso, e lo rafforza con le sue interpretazioni estrapolate da testi islamici sull’argomento a suo piacimento.

Criticata anche la prospettiva nazionalista di questa guerra, poiché secondo lo Stato islamico porta facilmente alla riconciliazione delle parti, come è avvenuto in passato nei conflitti più aggressivi. Inoltre, si dice che molti paesi che aiutano Israele sono arabi, il che non impedisce loro di avere buoni rapporti con il paese che opprime i palestinesi.

In conclusione, lo Stato islamico sottolinea la stabilità della sua posizione su questo tema e il fatto che la loro guerra contro Israele non si fermerà, poiché è basata sull’Islam. Inoltre nell’editoriale della rivista i musulmani in Palestina sono incoraggiati a compiere più attentati di ogni tipo, compresi gli attacchi alle sinagoghe, nonché a riprendere la pratica degli attentati suicidi con i dugma (cinture esplosive), ritenendo che solo in questo modo si possa sconfiggere una guerra Israele. Il mese del ramadan, festa per il mondo musulmano che per il 2023 inizia il 22 marzo, potrebbe essere usato da ISIS per tentare di uccidere gli israeliani non solo in Israele.

E oltre alle minacce di Daesh, si fa a vanti il conflitto politico tra il ramo esecutivo e quello giudiziario di Israele. La decisione dell’Alta Corte di Giustizia israeliana di vietare al politico Aryeh Deri, del partito ultraortodosso Shas, di ricoprire incarichi ministeriali, ha obbligato il primo Ministro Benjamin Netanyahu a conformarsi alla sentenza del tribunale e lo ha sollevato dall’incarico ministeriale.

Lo stesso Aryeh Deri ha promesso di tornare nel gabinetto dopo che la Knesset, controllata dalla nuova coalizione di governo, avrà approvato gli emendamenti legislativi pertinenti, consentendo al governo di ignorare la sentenza.

Allo stesso tempo, l’annuncio del ministro della Sicurezza interna Itamar Ben-Gvir, del partito Jewish Power, sulla necessità di aumentare significativamente il numero di agenti di polizia e i loro stipendi ha suscitato preoccupazione in alcune parti della società.

Alcuni oratori israeliani ritengono che tale riforma potrebbe costituire un pesante fardello per l’economia israeliana, unitamente a un possibile deflusso di investimenti dal Paese a seguito di una riforma giudiziaria.

Papaya Global, ad esempio, ha dichiarato di voler ritirare i fondi da Israele in seguito alle riforme del nuovo governo. Tuttavia, è improbabile che le modifiche legislative causino gravi deflussi di capitale dal Paese nel prossimo futuro.

I cittadini continuano a manifestare contro le riforme giudiziarie: il 29 gennaio si sono tenute nuove proteste a Tel Aviv, Be’er Sheva, Haifa e Gerusalemme, per un totale di circa 100.000 partecipanti. È molto probabile che le proteste continuino nel contesto dell’escalation del conflitto israelo-palestinese.

Netanyahu ha visitato la Giordania e ha assicurato al Re giordano che lo status del Monte del Tempio e l’accesso dei musulmani alla Moschea di al-Aqsa rimarranno immutati. Nel frattempo, le statunitensi e israeliani hanno tenuto un’importante esercitazione congiunta, Juniper Oak. L’esercitazione ha coinvolto 6.500 truppe americane e 1.500 israeliane.

Il 3 febbraio si è appreso dalla social sfera russa che il ministro degli Esteri palestinese ha dichiarato di aver ricevuto un invito da Lavrov a visitare la Russia, prevedendo di arrivare entro due mesi.

Maddalena Ingrao

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