Terrorismo energetico in Mauritania?

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Se la situazione nel nord del Mali desta dall’inizio dell’anno numerose preoccupazioni, i recenti fatti nella vicina Mauritania non fanno che aumentare le prospettive di scenari poco rassicuranti per tutta la zona del Sahel.

Il 13 ottobre scorso, mentre tornava nella capitale Nouakchott dalla sua residenza di villeggiatura a Twela, il presidente Mohamed Ould Abdel Aziz si trovava alla guida di un pick up alla testa del convoglio presidenziale. Il convoglio è stato raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco da parte di una pattuglia della gendarmeria che si trovava lungo la strada per un posto di blocco.

Rapidamente trasferito in un ospedale mauritano per le prime cure, il presidente è stato poi trasportato in Francia per essere operato. Le sue condizioni non hanno mai destato particolari preoccupazioni, al contrario delle dichiarazioni dei suoi ministri e degli scenari che se ne possono dedurre. Secondo quanto affermato dal ministro delle Comunicazioni mauritano, Hamdi Ould Mahjoub, i colpi sarebbero stati esplosi per errore, ovvero per una mancanza di comunicazione tra il convoglio e le forze di sicurezza considerate di seconda fascia.

Nel leggere il comunicato stampa del ministro molti hanno risposto con un sorriso ironico, in particolare se si fa riferimento alla storia del Paese: indipendente dal 1978, la Mauritania ha avuto sette presidenti di cui sei arrivati al potere tramite un golpe militare. Lo stesso Mohamed Ould Abdel Aziz era salito al potere nel 2007 con un colpo di Stato, prima di essere confermato in carica con le elezioni, a dir vero poco limpide, del 2009. Ad ogni modo, le ipotesi di scenario dietro all’attentato sono varie. In modo particolare, due ipotesi vanno per la maggiore: un attentato legato a ragioni interne al Paese e un attentato legato ai problemi di terrorismo internazionale che in Mauritania è da diversi anni una realtà.

In effetti, fonti locali indicano che ormai il potere è completamente in mano al clan del presidente (gli Ould Bebash) che sfrutta le poche risorse realmente importanti in Mauritania: il ferro e la pesca (oltre al petrolio del giacimento di Chinguetti). Inoltre, il presidente e il suo clan non avrebbero “distribuito” i proventi delle risorse agli altri generali che finora l’hanno sostenuto. Per tale motivo un vento di rivolta avrebbe iniziato a aleggiare tra le fila delle forze armate, o almeno tra quelle più in alto nella gerarchia. A queste prime motivazioni di instabilità, va ad aggiungersi anche l’eterno problema di tutte quelle popolazioni non More o Arabesche situate in particolare nel sud del Paese che subiscono la politica attuale del governo che tende a metterle sempre di più ai margini della vita del Paese. Popolazioni stanche delle angherie del potere che potrebbero voler far valere i propri diritti, anche con la forza.

Alle motivazioni strettamente interne, bisogna anche aggiungere le motivazioni di carattere più regionale e di sicurezza. Il nord est della Mauritania è da tempo covo dei gruppi terroristici raccolti sotto l’egida di Aqmi (Al Qaeda per il Maghreb Islamico) e dei suoi derivati quali il Mujao (Movement for Unity and Jihad in West Africa) che vivono nella no man’s land sahelo-sahariana. Spesso, le basi arretrate di questi movimenti si trovano proprio nella parte nord orientale del Paese per facilitare i combattimenti in Mali. Tali gruppi avevano di recente minacciato il presidente che sin dall’inizio del suo mandato da putschista aveva dichiarato guerra al terrorismo. Peraltro nel corso del tempo il Paese ha ricevuto il sostegno degli Usa e degli Stati europei per questo obbiettivo e con la limitrofa Algeria ha avviato varie partnership per la lotta al terrorismo. Di fatto, è sensazione di molti che la Mauritania sia in Africa Occidentale quello che l’Etiopia di Zelawi era ed è nel Corno d’Africa: una base per la lotta occidentale al terrorismo.

Il tempo forse potrà chiarire quale delle due ipotesi corrisponda maggiormente a verità, di fatto il problema centrale è un altro, anzi due. In primo luogo bisognerà capire come sarà colmato il momentaneo vuoto di potere, ma soprattutto: esistono altre problematiche in Mauritania e nel Sahel?

Il vuoto di potere sembrerebbe non rappresentare un problema poiché i ministri continuano la loro attività guidati dal primo ministro, nonostante la costituzione non preveda questo scenario. Molto probabilmente, malgrado i messaggi allarmistici lanciati dall’opposizione, il presidente tornerà al potere una volta terminata la degenza in Francia.

Proprio dalla Francia arrivano però ulteriori informazioni che gettano un velo di preoccupazione e qualche interrogativi sullo scenario del Sahel. In effetti, poco tempo fa la società energetica nazionale, Total, ha indicato che in Mauritania e in Niger espanderà con l’aiuto dell’algerina Sonatrach l’esplorazione in termini di gas e petrolio e, una volta pacificato il nord del Mali, lo farà anche nel Paese limitrofo. Le fonti indicano che il Sahel sarebbe destinato a diventare il prossimo “El Dorado” energetico. Sempre in Francia, un rapporto dei servizi di informazione indicava che l’emiro del Qatar stava finanziando i movimenti terroristici locali per poi potersi accaparrare quelle risorse.

L’attentato non è forse riconducibile a questioni di più ampio respiro energetico. Ciò che appare sicuro però è che la regione del Sahel sembra destinata ad essere non solo il terreno di scontro tra etnie che da secoli sono in lotta per la supremazia su granelli di sabbia del deserto che loro chiamano vicendevolmente Patria, ma anche lo scontro tra compagnie energetiche e relativi Stati. Che il caos nel Sahel sia un modo per prevenire le successive lotte per le risorse energetiche, o forse l’attesa per un probabile intervento militare nel nord del Mali serve solo per effettuare una migliore spartizione di tali risorse? La speranza per le popolazioni locali è che né l’una né l’altra ipotesi siano fondate.