TERRORISMO. Dopo Nizza e Vienna, si può pensare a Roma?

151

Sono stati in molti a preoccuparsi per l’Italia dopo gli attacchi di Nizza e Vienna, nel senso che c’è chi si chiede: poi toccherà all’Italia? La risposta è “Nì”: in base alle ricerche di AGC Communication che dal 2012 si occupa del fenomeno del terrorismo di matrice islamica, Daesh ha un preciso modus operandi negli attacchi in Occidente.

Primo, Daesh necessita di formare sul territorio che vuole colpire almeno una cellula pronta a intervenire quando viene loro richiesto. Una cellula di Daesh è formata, secondo gli standard pubblicati negli anni da Daesh stesso in chiaro, da almeno sei elementi con caratteristiche e incarichi da suddividere tra i vari componenti della cellula ben stabiliti in basi alle loro attitudini.

Uno è il prescelto colui che morirà per la causa, lo shahid, il martire. Per lui ci saranno ore di allenamento in palestra, ore di preghiere, secondo i dettami “religiosi” di Daesh, incitamento a immolarsi per la causa. Al suo fianco ci sarà sempre il reclutatore, colui che saprà comprenderlo, indirizzarlo, che lo accompagnerà ad aiutare le persone bisognose mentre è in vita, che gli insegnerà a essere educato con gli anziani, caritatevole con i poveri. Probabilmente poi prima di incontrare la via de jihadismo, lo shahid avrà condotto una vita “dissoluta”, per usare un termine di Daesh, ovvero ha avuto problemi di droga o alcool, di violenza, etc., poi dopo aver incontrato il reclutatore tutto cambierà: godrà di buona fortuna, nel senso che fino al giorno dell’attentato i soldi non mancheranno, a questo dovranno provvedere altri due elementi della cellula, quelli che si occuperanno della logistica: questi andranno a lavorare e sosterranno economicamente tutti, compreranno i telefoni e faranno gli appostamenti sui luoghi da colpire anche per molti mesi. Programmare e eseguire un attentato richiede molto tempo, prima di quello al Bataclan, terroristi naturalizzati francesi, ci avevano provato per due anni, e per due anni hanno monitorato l’area, gruppi musicali che si esibivano, etc. Sempre a questi spetta fare la spesa e occuparsi delle “faccende di casa”.

Nella cellula terroristica non sono ammessi estranei, se non altri dediti alla causa. A questi quattro elementi si vanno ad aggiungere gli addetti alla comunicazione. Uno si occuperà della gestione dei social del prossimo martire, in genere da casa sua senza stare troppo tempo in compagnia dell’attentatore, usano strumentazione personale e leggermente criptata, leggi VPN. Sarà lui a preparare le foto per i profili Instagram, etc., i meme da mandare on line nei giorni antecedenti all’attentato. Questo lo si fa perché se viene intercettato dalle autorità quello che posta sui social, il resto della cellula si può dileguare e ricominciare tutto daccapo. Poi c’è il padrone di casa, così definito perché è quello che ad attentato avvenuto deve occuparsi di comunicare con la casa madre e mandare le notizie che i giornali non hanno e questo è il più difficile da trovare, di solito tra gli elementi del gruppo, che possono andare dai quindici ai trent’anni, è il più anziano.

Daesh dove e quando può, inoltre, sui territori che vuole colpire forma diverse cellule che tra di loro che non si incontreranno mai, o meglio si incontreranno solo quelli della logistica o i padroni di casa per coordinare l’attentato. Ma mai tutti insieme, fino al giorno prestabilito.

Da questi primi elementi si comprende, dunque, che per compiere un attentato come quello recente di Vienna ci vogliono almeno una trentina di persone, a riprova di ciò le autorità viennesi hanno già arrestato oltre agli attentatori 14 altri elementi, ma solo uno di loro era lo Shaid, ovvero il martire la cui identità oggi è tragicamente nota. Un altro caso “scuola” è stato l’attentato di Barcellona dove ad essere arrestati sono stati in 50 dopo gli attentati alla Ramblas.

Luogo e data-orario di un attacco, poi, non vengono scelti a caso: si tratta di obiettivi, di simboli, carichi di significati culturali e religiosi: chiese o sinagoghe, perché simboli di una religione avversa per Daesh, oppure simboli della perdizione e della corruzione come fu il Bataclan di Parigi: discoteche, bar e ristoranti. Si tratta, in questo caso, di colpire il vizio insito nella visione occidentale, Daesh la definisce “crociata”, incarnato da questi luoghi. In Italia, le città simbolo del Bel Paese ne hanno in abbondanza. Per quanto concerne il quando, ci si può rifare ai precedenti tragici episodi, e si vede che sono stati scelti i giorni con maggiore concentrazione di persone. Vivendo in tempo di pandemia, con i luoghi di ritrovo chiusi, le tempistiche sembrano restringersi alquanto, ma non sono scomparsi del tutto.

Ma non è finita, tra le caratteristiche della cellula Daesh ci deve essere anche una carta di identità, una residenza o una cittadinanza originaria del luogo scelto per l’attentato.

Ciò significa che il prescelto nell’eventuale caso/scenario italiano deve essere almeno residente in Italia. Nella teoria politico-criminale di Daesh infatti c’è bisogno che ad essere colpito non è solo il luogo, ma il cuore di un Paese. La residenza, detto in altre parole, testimonia che quel paese è infiltrato da Daesh e quindi, solo agli occhi dei fan della social sfera Daesh, prossimo a cadere nelle mani di Daesh.

A questo punto ogni lettore si chiederà: a che punto sta l’Italia con i reclutatori? L’Italia, per fortuna non ha, fino ad ora, una grande tradizione di reclutatori. In Italia è molto più infiltrata al Qaeda, che purtroppo ultimamente sta postando molto materiale sulla social sfera. Questo perché non abbiamo sul territorio italiano per ora, a differenza della Francia, luoghi ghetto senza controllo con giovani di nazionalità locale, ma con radici oramai senza contesto. Il terreno più fertile per Daesh rimane sempre quello dei giovanissimi di quarta o quinta generazione musulmana, ovvero quei giovani che pur essendo di origine musulmana, non sono proprio credenti: un po’ come i nostri giovani nati da genitori cattolici credenti e professanti. Ovvero ragazzi nati da genitori cattolici, ma che non hanno una formazione particolare in religione.

Questi ragazzi reclutati da Daesh, almeno stando alle statistiche, non sono per forza poveri, anzi spesso sono anche scolarizzati, ma hanno in comune un elemento: non riescono a sentirsi cittadini del paese dove sono nati ma non sono più cittadini del paese di origine, sono alla ricerca della loro identità. Ed è proprio qui che arriva il reclutatore che, magari, vive in un quartiere a maggioranza musulmana, e conduce una vita normale, magari è anche tra coloro che guida la preghiera del venerdì come un qualunque Imam, ma ha in animo non servire Dio, ma servire Daesh. Non cadiamo nel falso stereotipo che tutti i musulmani sunniti sono jihadisti, anzi cominciamo ad aiutare le comunità musulmane ad individuare gli estremisti e a consegnarli alla giustizia, altrimenti tra non molto l’Italia subirà le stesse sorti di Francia, Spagna, Austria, Regno Unito, Belgio.

Il nostro “Nì” iniziale nasce da una riflessione: dal 2012 ad oggi sono cambiate anche in Italia molte cose. C’è molta più diseguaglianza sociale, acuita dalla crisi economica in corso per colpa del COVID 19 e ad essere colpite sono sempre le classi sociali più deboli. Abbiamo subito flussi migratori importanti da paesi Medio Orientali e orientali fortemente infiltrati da Daesh come Siria e Iraq. E soprattutto, grazie all’Intervento turco in Libia, ora abbiamo anche mercenari siriani che sono fuggiti via Libia con i barconi verso l’Italia e nessuno può dire che tra di loro non ci siano uomini Daesh: è impossibile al momento stabilirlo. Non solo: sono cominciati i rimpatri dei combattenti stranieri da Siria e Iraq, delle loro mogli e dei loro figli, soprattutto nell’area balcanica molto vicina all’Italia. Elementi, questi, che hanno di certo accelerato un processo: il reclutamento e la formazione Jihadista di elementi sul territorio italiano.

Seppur vero che l’Italia è un importante snodo per i jihadisti verso Francia, Germania, Svezia e che l’Italia è un importante snodo criminale per il traffico di droga e armi che vengono usate anche dai jihadisti, resta alto il pericolo di formazioni in corso e non sappiamo a quale stadio di cellule che potrebbero intervenire.

Il “Nì” dunque, in base ai nostri studi, indica solo una questione di tempo, non di possibilità.

Graziella Giangiulio e Antonio Albanese