BALCANI. Terrorismo balcanico e social jihad

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Finalmente si parla di Balcani e di eventuale minaccia terroristica per l’Italia, l’EuropaLa minaccia della radicalizzazione Jihadista nei Balcani: una sfida per la sicurezza europea», organizzato dalla Delegazione parlamentare italiana presso la Nato. L’interessante mattinata ha riunito esperti di tematiche di sicurezza balcaniche non italiani e nostrani.

Prima di scendere nei dettagli più tecnici, pur nelle belle e interessanti esposizioni presentate, si è notata nelle diverse relazione una sovraesposizione meccanicistica nella spiegazione del fenomeno e delle sue diverse e oggettivamente riscontrabili componenti; sovraesposizione che è tipica di una lettura statunitense del fenomeno secondo la quale i meri fattori oggettivi legati al benessere e ad modello di vita made in USA, prima, e poi Occidentale, possono spiegare il fenomeno jihadista e poi eliminati i quali disarticolarlo. In questa semplicistica equazione, scompare il dato identitario di appartenenza religiosa e culturale islamica che anima le comunità balcaniche, private della loro essenza religiosa e storica solo nella parentesi titina, per l’ex Jugolavia, o l’epoca di Enver Hoxha per l’Albania. L’eliminazione di questo dato d’intelligence culturale finisce col rendere la sommatoria dei dati che possono essere raccolti ad una mera elencazione di fattispecie di reato, una casistica di reati che aggiunge poco altro alla storia dei personaggi che li hanno compiuti e alla motivazioni che li hanno spinti.

Focalizzandosi su: Bosnia, Serbia, Kossovo, che nel complesso contano circa 12 milioni di persone residenti con un numero stimato di combattenti stranieri di circa 300 persone, secondo i dati ufficiali. Paesi confinanti tra di loro, che hanno una storia diversa da raccontare e ad oggi, al di la dell’Adriatico forse poco studiata. Quello che sorprende nell’ascoltare i relatori provenienti da Serbia, Bosnia – Erzegovina, Kossovo, Albania è il che il terrorismo islamico, in estrema sintesi, non è vissuto tanto come minaccia interna ma come una minaccia esterna. Nel senso che i Balcani sono una terra pronta, atta a ricevere e dare supporto ai jihadisti e ai possibili terroristi, fornire armi, piuttosto che essere località prese di mira dal Califfato o da al Qaeda per assalti e massacri. Una posizione questa, nettamente diversa da quella che emerge dai social media che si esprimono in lingua bosniaca, albanese, kossovara, croata o serba, e che dicono di afferire alla sfera estremista islamica, jihadista monitorati oramai da circa due anni da AGC COMMUNICATION. Ricordamo, ancora una volta che i social media parlano alla pancia delle persone, alle loro sfere emotive, come può non accedere durante la tradizionale intervista sociologica o statistica. Si tratta di una ricerca e analisi che presto sfocerà in un libro che  spiegherà caratteristiche ed evoluzione del fenomeno terroristico nel suo complesso nell’area balcanica dall’autoproclamazione del Califfato ad oggi. Grande assente della giornata di studio alla Camera dei deputati, la Macedonia, che dal punto di vista dei social è sempre più attiva. Le prime differenze sostanziali tra quanto riferito dai relatori e le informazioni estrapolate dall’analisi dei social media è questa: ISIS o Daesh ha attecchito molto tra gli account che si esprimono in lingua bosniaca o croata, account che regolarmente, ovvero ogni giorno  pubblicano – in chiaro e non nel deep web di cui AGC COMMUNICATION non si occupa – bollettini dello Stato Islamico (ISIS o Daesh) in lingua locale e ancora pubblicano tutte le notizie di ISIS postate dalla Agenzia di Stampa ISIS A’maq. Un lavoro minuzioso e certosino a cui si aggiunge il lavoro di sottotitolazione in bosniaco dei video di ISIS dedicati a: proselitismo; arruolamento; istigazione a compiere attentati nelle città di origine nel momento in cui non si riesca ad emigrare in terra di Sham (Siria o Iraq). Azioni che tutti coloro che si riconoscono nei “valori” e nel “credo di ISIS” sono chiamati a compiere anche come lupi solitari. Solitari, però, fino ad un certo punto. Per chi studia il fenomeno come AGC COMMUNICATION, il fenomeno dei lupi solitari nella sfera Daesh e al Qaeda non esiste. Nel senso che c’è sempre una rete di “amici” che sostiene e incita il “leone solitario” come si definisco loro a compiere il gesto efferato. Molto diversa invece la situazione per quanto concerne gli account della sfera Twitter, Facebook, Telegram, Instagram, che si esprimo in lingua albanese. Primo dato che emerge è che questa rete ha relazioni molto fitte in molti paesi d’Europa: Austria, Belgio, Germana, Svezia, Finlandia, Francia, Italia, Olanda in primis e ancora con la Turchia. Ed ancora l’Albania rispetto alla Bosnia è “confusa” in termini di appartenenze jihadiste (In apertura il Bollettino in lingua bosniaca dello Stato Islamico di oggi, 16 marzo 2017). Alcuni account si definiscono vicini a Hay Tahir al Sham, ex Jabhat Fateh al Sham, ex Jabhat al Nusra e quindi afferenti al mondo qaedista, anche se il leader Abu Mohammed al-Joulani, addestratosi in tempi non sospetti con Abu Muhammed al-Adnani, compiuto leader della comunicazione di ISIS, nega la sua affiliazione ad al Qaeda. Questi account seguono da vicino tutto quello che accade in Siria, in modo particolare ad Aleppo e Idlib, Hama e Daraa. Idlib dopo tutto è la casa in HTS è nata ed ha ereditato le sue brigate. Questi gruppi sono avversi anche a Erdogan e postano quotidianamente minacce alla Turchia. Nel mezzo, tra ISIS e HTS si pongono i jihadisti o presunti tali che si dicono favorevoli alle istanze di Free Syrian Army, gruppo islamico, legato ad Ahrar al Sham, sempre estremista sunnita, attualmente più impegnato in guerra contro ISIS e Assad. Questi account  sempre in lingua albanese descrivono la loro realtà dei fatti e sono ostili ad Assad. Infine c’è il sito ufficiale di ISIS in Albania che meno puntualmente rispetto al bosniaco traduce tutte le notizie del Califfato. Gli account albanesi sono più critici e amano il dibattito e spesso i commenti sono molto interessanti perché svelano cose che oggi, purtroppo, non sono emerse dal convegno.

Per esempio molti di loro dicono di aver aderito a ISIS o altri gruppi jihadisti perché la “Ummah” è la cosa più importante, la fede e il bisogno di pensare e credere in un futuro migliore passa per un unico Dio. Una fede che non deve deludere e che deve dimostrare la sua purezza lontano dalla corruzione che spesso si vede nei paesi sunniti in primis, dicono gli account, in Arabia Saudita. Sempre gli account albanesi e qui inseriamo molti macedoni che si esprimo in albanese, detestano e si passano parola se individuano account di sciiti, molto odiati e vessati soprattutto alla luce di quanto sta succedendo in Siria. Chiudiamo, ma solo per problemi di spazio, asserendo che vista dai social media la realtà dei Balcani appare come una polveriera pronta a esplodere che si sta attrezzando e che preferirebbe in primis colpire enti e organizzazioni internazionali presenti sul territorio, ma solo e quando verrà loro richiesto. Nel frattempo i jihadisti in Siria, pochi quelli in Iraq, anche se sappiamo che alcuni di lingua bosniaca sono attualmente sul fronte a Mosul comunicano le “epiche” imprese tramite i contatti in loco. Segno questo che al di la delle parole confortanti dei relatori, una rete di comunicazione c’è, le armi, come ha spiegato il Generale Giovanni Fungo, comandante Kfor, ci sono; segnali questi che non possono essere sottovalutati o considerati esclusivamente come un “pericolo” interno. 

Antonio Albanese e Graziella Giangiulio