STATO ISLAMICO. Daesh cerca di tornare operativa in Siria e Iraq

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Il Medio Oriente teme che lo Stato Islamico potrebbe sfruttare la caduta del regime di Assad per tornare in Siria e Iraq. Lo Stato Islamico sta tentando proprio questo, secondo oltre 20 fonti, tra cui funzionari politici e di sicurezza di Siria, Iraq, Stati Uniti ed Europa, nonché diplomatici nella regione. Il gruppo ha iniziato a riattivare i combattenti in entrambi i Paesi, identificando obiettivi, distribuendo armi e intensificando gli sforzi di reclutamento e propaganda, hanno affermato le fonti, riporta Reuters.

Finora, i risultati di questi sforzi sembrano limitati. La sicurezza in Siria e Iraq ha dichiarato di aver sventato almeno una dozzina di importanti tentativi quest’anno. Daesh ha rivendicato la responsabilità di 38 attacchi in Siria nei primi cinque mesi del 2025, il che lo porterà a poco più di 90 rivendicazioni quest’anno.

In Iraq, dove l’ISIS ha avuto origine, il gruppo ha rivendicato quattro attacchi nei primi cinque mesi del 2025, contro i 61 totali dell’anno scorso.

Al suo apice tra il 2014 e il 2017, Daesh dominava circa un terzo della Siria e dell’Iraq; le intelligence irachena statunitense e di alcuni paesi europei hanno messo in guardia dal sottovalutare il gruppo, affermando che si è dimostrato un nemico resiliente, abile nello sfruttare i vuoti politici e di sicurezza.

Si teme poi il riemergere del fenomeno dei combattenti stranieri; per la prima volta da anni, le agenzie di intelligence hanno rintracciato un piccolo numero di sospetti combattenti stranieri provenienti dall’Europa in Siria negli ultimi mesi. 

La sorprendente decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di revocare le sanzioni alla Siria è stata ampiamente considerata una vittoria per Ahmed Al Sharaa, già leader del gruppo qaedista HTS. Tuttavia, alcuni estremisti islamici hanno criticato gli sforzi di Sharaa per corteggiare i governi occidentali, esprimendo preoccupazione per il suo possibile acquiescenza alle richieste statunitensi di espellere i combattenti stranieri e normalizzare le relazioni con Israele. Approfittando di tali divergenze, Daesh ha condannato l’incontro con Trump in un recente numero di al-Naba, e ha invitato i combattenti stranieri in Siria ad unirsi alle sue fila.

In un incontro del 14 maggio in Arabia Saudita, Trump ha chiesto a Sharaa di contribuire a prevenire una ripresa dell’ISIS, mentre gli Stati Uniti avviano un consolidamento delle truppe in Siria che, a loro dire, potrebbe dimezzare la loro presenza militare di circa 2.000 uomini quest’anno. Il ritiro degli Stati Uniti ha accresciuto la preoccupazione tra gli alleati che l’ISIS possa trovare un modo per liberare circa 9.000 combattenti e i loro familiari, inclusi cittadini stranieri, detenuti nelle prigioni e nei campi sorvegliati dalle Forze Democratiche Siriane (SDF), sostenute dagli Stati Uniti e guidate dai curdi. Dalla caduta di Assad, si sono verificati almeno due tentativi di evasione, ha affermato l’SDF.

Trump e il presidente della vicina Turchia, Tayyip Erdogan, vogliono che il governo di al-Sharaa si assuma la responsabilità di queste strutture. Erdogan considera le principali fazioni curde una minaccia per il suo Paese. Ma alcuni analisti regionali si chiedono se Damasco disponga delle risorse umane necessarie.

Si prevede che la coalizione anti Daesh concluda le operazioni in Iraq entro settembre. I funzionari iracheni ritengono che Daesh abbia preso ingenti scorte di armi lasciate dalle forze di Assad e temono che alcune possano essere introdotte clandestinamente in Iraq.

Antonio Albanese

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