SOMALIA. Al Shabab attacca Mogadiscio mentre a nord della Somalia continua la caccia a DAESH

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Le autorità della Somalia hanno ripreso le operazioni antiterrorismo tra la fine di settembre e la prima settimana di ottobre nel Puntland contro DAESH: sono stati uccisi cinque militanti e uno è stato catturato vivo nelle aree vicino ai monti Calmiskaad. Secondo i comunicati ufficiali delle autorità locali, le operazioni si sarebbero concentrate sulla ricerca dei responsabili del piazzamento delle mine antiuomo che hanno ucciso il generale Qalyare il mese scorso. 

Nel sud del Paese, invece, si sono verificati molteplici scontri tra al Shabaab e le unità somale, coadiuvate da diverse forze internazionali, in primis le truppe AUSSOM. Particolarmente attivo è stato il contingente ugandese appartenente all’Uganda People’s Defence Force (UPDF), il quale è stato essenziale durante gli scontri per la riconquista della città di Awdheegle, nella regione del Lower Shabelle, contro le posizioni di al Shabab nell’insieme delle attività dell’operazione Silent Storm.

Come risposta, il gruppo di al-Qaeda alle 16:50 del sabato 4 ottobre ha attaccato la prigione di Godka Jilicow a Mogadiscio. Secondo fonti locali, il cancello fortificato della prigione è stato distrutto da un’esplosione provocata da un pick-up che mostrava le insegne della National Intelligence and Security Agency (NISA) imbottito di esplosivo; successivamente una squadra di militanti di al Shabab si è introdotta nella struttura ingaggiando pesanti scontri con il personale di sicurezza della prigione. Il governo somalo ha dichiarato che il gruppo di fuoco era composto da sette miliziani, mentre alcuni media somali riportano che al termine dello scontro sarebbero stati eliminati almeno dieci assalitori. Lo scontro si è protratto fino alle prime ore del mattino di domenica 5 ottobre fino a quando le forze speciali Gashaan (formate dagli Stati Uniti), dopo il fallimentare intervento delle unità di polizia di Haram’ad, addestrate dalla Turchia, sono riuscite ad eliminare tutti i combattenti di al Shabab.

Alcuni giornali locali riportano che, secondo i loro informatori interni ai ranghi delle autorità somale, almeno quattro degli aggressori erano presunti disertori di al Shabab, integrati nelle unità della NISA probabilmente come informatori o collaboratori. Questa ipotesi è emersa su alcuni canali somali, secondo cui tra gli assaltatori della prigione ci fossero agenti doppi della NISA che in realtà sostenevano il gruppo fedele ad al-Qaeda, è compatibile con l’utilizzo del mezzo sopracitato delle autorità somale, il quale era riuscito a superare precedentemente i checkpoint di sicurezza nella capitale somala grazie a probabili false autorizzazioni. Anche se il comunicato stampa del governo somalo ha dichiarato che non si sono verificate evasioni dei detenuti, la stampa locale riporta più di un centinaio di prigionieri mancanti al censimento successivo all’attacco e al Shabab ha rivendicato più di 40 uccisioni nell’attacco.

Le autorità somale hanno avviato, successivamente all’attacco, un’importante indagine sull’utilizzo del veicolo della NISA nell’operazione e sull’apparente infiltrazione di al Shabab nei ranghi dell’intelligence somala. Secondo fonti locali, un altro indice della probabile falla dei sistemi informativi e di sicurezza somale è evidenziato dall’avvio di un processo di revisione del procedimento di cooptazione e controllo per disertori e informatori provenienti da al Shabab.

Alcuni giornalisti somali interpretato anche l’attacco come una dimostrazione di forza fatta dal gruppo estremista dopo una recente dichiarazione ufficiale fatta dal Primo Ministro somalo Hamse Abdi Barre, il Direttore del NISA Mahad Salad e il Ministro della Sicurezza Interna, Generale Abdullahi Ismail Fartaag, durante cui è stata annunciata la riapertura di diverse strade principali di Mogadiscio, chiuse per motivi di sicurezza, nello specifico per la minaccia di attentati con autobomba da parte di al Shabab.

Gabriele Leone

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