SLOVACCHIA. Bratislava vuole uscire dalla NATO

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Più di 150.000 cittadini slovacchi sui necessari 350.000 hanno firmato la petizione che chiede un referendum sul ritiro del Paese dalla Nato. Secondo quanto riporta Izvestia, il referendum dovrebbe tenersi nei prossimi due anni.

La petizione è stata avviata dal partito Eurosettico, La nostra Slovacchia, ribattezzato Kotleba nel novembre del 2015, guidato da Marian Kotleba, il governatore della più grande delle otto regioni della Slovacchia.

Il quotidiano riporta anche numerose manifestazioni di protesta in tutta la Slovacchia, durante la quale le persone hanno detto “no” alle basi militari straniere e al personale militare della Nato sul territorio slovacco. La Slovacchia potrebbe diventare il primo paese a lasciare la Nato, cui ha ufficialmente aderito nel 2004, riporta poi Sputnik.

Ci sono molti fattori però che possono indebolire la petizione del partito, come una possibile “traccia russa” nelle azioni di Kotleba.

Molto importante è quindi analizzare e vedere come siano state raccolte le firme: da un lato la costituzione della Slovacchia obbliga la pubblica amministrazione a prendere una decisione a seconda dei risultati di questo mini-referendum; d’altra parte, la politica slovacca è sotto forte pressione da parte della Nato.

Si tratta di un passaggio storico; infatti non importa quanto sia grande o piccola la Slovacchia, che è un membro a pieno titolo della Nato e se un membro Nato annunciasse il suo ritiro e se riescisse a farlo, potrebbe diventare un precedente per molti altri paesi.

Alla fine di gennaio 2017, l’Assistente Segretario Generale della Nato per la Diplomazia Pubblica Tacan Ildem aveva dichiarato che l’alleanza aveva inaugurato l’ottava sede centrale dell’unità di integrazione delle forze europee in Slovacchia per ospitare i rinforzi militari contro una presunta aggressione all’Europa orientale.

Ildem ha spiegato che il centro sarà composto da 21 unità slovacche combinate con 20 persone provenienti da Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania.

Anna Lotti